Silicon Valley Bank: la paura di un nuovo contagio torna ad agitare i mercati – Marzo 2023

di  Fabio Caruso*

Il nuovo anno è partito, tanto lato Federal Reserve quanto Banca Centrale Europea, con una missione indiscutibilmente chiara: combattere l’inflazione ormai “permanente” e non più solo transitoria, evitare a tutti i costi che diventi “appiccicosa” insinuandosi nelle dinamiche salariali ed autoalimentandosi, il tutto mediante una feroce politica di innalzamento dei tassi di interesse.

Il messaggio insomma è netto: dopo anni di liquidità a tassi ultra agevolati, la spirale che è partita e che ora rischia di sfuggire di mano va posta sotto controllo, anche a costo di provocare piccole recessioni che “sfiammino” il clima surriscaldato che si è venuto a creare nel mondo macro economico in questi anni.

Tuttavia, siccome “nessun pasto è gratis”, l’abbassamento della marea che è arrivato ha permesso di vedere chi nuotava senza costume (mi sia perdonata la doppia citazione…): in America la Banca riferimento delle start up innovative, l’istituto di credito che incorpora nel nome il luogo dove tutto si può a livello di magnifiche e progressive sorti del genere umano, ha clamorosamente fatto default in un anonimo giovedì di inizio marzo.

Da appassionato di questioni bancarie, come gli amici di AnalisiBanka (che ringrazio ancora per il meraviglioso incontro di sabato 11 a Milano…) mi sono chiesto: perché, visto che il mercato sembrava accettare con tutto sommato relativa tranquillità la linea rialzista intrapresa dal Governatore Powell?

La risposta sta, secondo chi scrive e secondo la gran parte dell’opinione pubblica, in una letale combinazione di innalzamento dei tassi di cui si diceva in apertura mescolato ad una poco prudente gestione del rischio.

In buona sostanza, SVB ha acquistato titoli di stato americani a tasso fisso e a lunga scadenza senza adeguata copertura(si noti che la Banca in questione ha passato mesi senza qualcuno che ricoprisse il ruolo di Chief Risk Officer); quando l’innalzamento dei tassi è letteralmente decollato, la ventesima su 100 Banca per importanza e dimensione degli Stati Uniti secondo Forbes si è trovata con un portafoglio depresso e deprezzato, con titoli obbligazionari dal valore ridottissimo ed uno scollamento sempre più marcato tra l’attivo ed il passivo.

Il panico si è diffuso tra i clienti ed è iniziata una corsa al ritiro della liquidità, fenomeno che ha chiaramente gettato benzina sul fuoco…il circolo vizioso si è innestato e il default è stato inevitabile.

Nella giornata di lunedì 13, quando chi vi scrive sta mettendo insieme queste riflessioni, le Borse americane ed europee hanno fatto segnare crolli importanti, trascinate al ribasso dal comparto bancario che teme una nuova peste e un, parola certamente abusata in queste ore, nuovo contagio stile 2007/2008, quando proprio l’innalzamento dei tassi squarciò il velo dei mutui subprime e fece saltare a livello mondiale il castello delle cartolarizzazioni costruite su quei mutui come sottostante.

La Fed e il Tesoro Americano, via il Segretario ed ex numero 1 della Banca Centrale Janet Yellen, già nella giornata di domenica 12 sono passati all’azione garantendo che il Fondo di tutela dei depositi, che funge da copertura delle esposizioni sui conti, si spingerà a garantire anche quelli con esposizioni superiori a $ 250.000, in più diversi “cavalieri bianchi”, anche fuori dai confini americani, si stagliano all’orizzonte pronti a rilevare quel che resta della SVB.

Se così fosse sarebbe un colpo non da poco, uno smacco  per l’economia U.S.A. se una parte assai significative delle sue aziende growth passassero in mani straniere.

In ogni caso , a parere del sottoscritto, la situazione patrimoniale delle Banche americane, resa più forte dalla crisi quella sì sistemica del 2008 e nonostante le misure adottate bipartisan nell’era Trump, è migliore di quella del 2008 ed inoltre il mercato sembra scontare il fatto che questo shock possa restare confinato al mondo delle aziende fintech e delle “nebulose” criptovalute.

Non dovremmo insomma assistere a una riedizione del caso Lehman.

Resta in ogni caso una lezione da imparare sulla sana e prudente gestione finanziaria degli istituti di credito e, più in generale, per le Banche Centrali la necessità di procedere “manzonianamente” con giudizio sul tortuoso sentiero dell’innalzamento dei tassi per evitare di ottenere l’effetto esattamente contrario a quello ricercato.

 *“i contenuti sono riferibili unicamente all’autore ed esprimono la sua personale opinione al 13/03/2023, non costituiscono alcuna raccomandazione d’investimento e non impegnano le società e istituzioni di appartenenza”

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