NPL ai tempi del COVID 19 – Maggio 2020.

Autore: dr. CARUSO Fabio
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La tremenda crisi globale causata dal virus Covid 19 ha nuovamente riportato l’attenzione del mondo bancario e finanziario sui c.d. NPL (non performing loans), ossia sui crediti deteriorati per i quali la riscossione per gli istituti di credito creditori si palesa come estremamente difficoltosa, sia in relazione alla tempistica necessaria sia in relazione al presumibile ammontare del recupero.

Dal 2015, quando i crediti non performanti raggiunsero la cifra monstre del 17% degli impieghi degli istituti di credito, il trend era stato di continua discesa, seppure ancora oggi cubano un’esposizione nominale di circa 168 miliardi di euro pari al 9% degli impieghi e comunque ben lontano da quella soglia minima del 5% richiesto dalla Bce. Questo è potuto accadere anche grazie agli interventi di servicer specializzati nell’acquisto di tali pacchetti, i quali hanno permesso alle banche di “tirare il fiato” e riorganizzare i loro fondamentali di bilancio nel rispetto della normativa emanata dalle autorità di vigilanza in merito, normativa fattasi via via sempre più dettagliata e stringente.

In particolare, dal 2018 l’attività del settore è stata strutturata dal regolatore europeo sostanzialmente in un’ottica di prevenzione, di emersione delle criticità in tempo utile prima della comparsa della crisi. L’introduzione del principio contabile IFRS9 in luogo dello IAS39 è stato un passo fondamentale in tale direzione , con l’obbligo per le banche, ad esempio in caso di moratoria accordata al cliente in ritardo con i pagamenti, di iscrivere a bilancio il credito vantato come “forborne” o già come non performing e di coprire il 100% dei nuovi crediti deteriorati a decorrere dall’1.4.2018 con accantonamenti che devono esaurirsi in due anni per i crediti unsecured ed in sette per quelli secured.

Va da sè che le banche, strette tra i volumi dei crediti per i quali l’insolvenza del debitore è purtroppo un fatto conclamato in crescita esponenziale nel futuro immediato e un calendar provisioning così rigido,  dovranno con tutta probabilità ripercorrere la strada della dismissione massiva di questa tipologia di asset, con conseguenze apparentemente inevitabili sulla discesa dei prezzi delle cessioni che verranno via via attuate e quindi sul loro bilancio, dovute in primis alle minori prospettive di recupero derivanti dal peggioramento delle condizioni degli attori della c.d. “economia reale”(privati ed imprese), all’ulteriore peggioramento della profittabilità del mercato immobiliare già in profonda crisi e quindi dei collateral a presidio e, last but not least, dall’incapacità del sistema giudiziario di smaltire i numerosi contenziosi in essere. A tal riguardo secondo indagini di mercato il 70% delle vertenze legali passa attraverso la sede giudiziale, laddove, nel contemperamento dei reciproci interessi, l’opzione stragiudizialeassumerà un’importanza sempre più strategica.

A proposito del possibile impatto a bilancio ed in vista di una sterilizzazione della normativa vigente stante la fase emergenziale, ad ogni modo, la stessa Banca Centrale Europea ha consentito alle banche di accedere pienamente alle riserve c.d. di II pilastro(capitale e liquidità) per assorbire perdite determinate dalla eccezionalità della situazione o per finanziare clienti in carenza di liquidità, mentre la stessa Autorità Bancaria Ruropea (Eba) ha affermato che tutte le moratorie concesse per disposizioni di legge o in applicazione di Convenzioni(tipo Abi) non rappresentano misure di forbearance e quindi non implicano cambiamenti nella classificazione del credito, a patto che la situazione di difficoltà sia maturata post 31.1.2020.

D’altro canto per il settore bancario si va verso un inevitabile allentamento delle regole oggi esistenti, nel senso in primis di maggiore flessibilità per ciò che concerne la classificazione a bilancio dei crediti da bonis a non performing e per quei crediti beneficiari della garanzia statale (c.d. GACS). Pare essere stato invece accantonato fino ad oggi l’argomento UTP (unlikely to pay) e past due (i crediti la cui morosità si protrae da oltre 90 giorni), la cui trattazione assumerebbe invece capillare importanza per quei soggetti entrati in crisi con l’esplosione dell’emergenza epidemiologica.

Altra misura che dovrebbe essere coinvolgere le banche, tuttora allo studio del legislatore, è quella di una sospensione della segnalazione a sofferenza degli NPL presso la Centrale dei Rischi di Banca d’Italia e presso i vari sistemi di informazione creditizia, a favore di quelle piccole e piccolissime imprese che hanno i requisiti per accedere al congelamento dei pagamenti dei prestiti previsto dal decreto c.d. Cura Italia.

Resta il fatto, per concludere, che dovremo attendere qualche mese per verificare il reale beneficio delle varie misure adottate sinora e vedere se il mondo bancario, che stava iniziando a vivere una stagione decisamente migliore rispetto agli ultimi tribolati anni,  sarà in grado di superare questa nuova inaspettata sfida esistenziale.

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