L’aumento dei tassi ufficiali fa bene alle Banche? – Dicembre 2021

di Ivo Invernizzi

      In questi tempi in cui, dopo i due ultimi annunci monetari di Fed e BCE si parla molto di probabile futuro rialzo dei tassi ufficiali da parte delle Banche Centrali (soprattutto della Fed, perchè la BCE ha rassicurato i mercati che ‘un rialzo dei tassi nel 2022  sarà molto improbabile‘), viene spontaneo domandarsi se la redditività delle banche possa beneficiare – come più volte sostenuto nel senso comune – da tale rialzo, ovvero se esiste una relazione di causalità diretta tra aumento dei tassi e aumento dei margini d’interesse (Net Interest Income o NII). Se lo chiedevano anche gli autori dello studio ‘Do Net Interest Margins and Interest Rates Move Together?’ pubblicato dall Fed di Richmond in Maggio 2016, le cui conclusioni riassumiamo brevemente.

       Gli autori supponevano che,  poiché la Banca Centrale è intenzionata a introdurre una politica monetaria restrittiva sui tassi ufficiali e i tassi di mercato aumentano corrispondentemente, il margine d’interesse netto delle Banche aumenterà di conseguenza. Se è vero che principalmente la Fed e, con un gap temporale superiore, la BCE stiano andando nella direzione della normalizzazione della politica monetaria, l’aumento dei tassi ufficiali dovrebbe in teoria rappresentare la inevitabile premessa dell’aumento del differenziale o spread tra interessi incassati sulle poste fruttifere dell’attivo di bilancio e interessi passivi versati sulle poste del passivo fruttifere. Tale relazione può essere evidenziata da un grafico in cui sull’asse delle ascisse mettiamo i tassi ufficiali e sull’asse dell’ordinate mettiamo il margine d’interesse medio netto della banca dovrebbe essere rappresentato da una linea, non necessariamente retta a inclinazione positiva.

Tuttavia, analizzando i dati storici, si riscontrano casi in cui  è avvenuto il contrario, ovvero il rialzo dei tassi ufficiali non ha significato un corrispondente aumento del margine di interesse netto medio e talvolta tassi più elevati hanno addirittura prodotto margini di interesse in calo. Perché?

Premesso che, ciascuna banca presenta un’elevata complessità e ‘idiosincraticità’ delle proprie poste di bilancio, nell’approccio di ALM (Asset Liability Management) tradizionale all’attività delle banche commerciali, è probabile che le passività (per semplificare, i soli depositi) si caratterizzino per una sensitività ai tassi di interesse superiore rispetto alle attività. Uno dei motivi fondamentali di tale differenza, risiede nell’orizzonte temporale o differenza tra le scadenze delle attività e  delle passività, denominata ‘maturity mismatching’. In un modello puramente teorico, se il tasso d’interesse ufficiale fissato dalla Banca Centrale aumenta, le banche potrebbero sostenere un maggior costo per interessi passivi sulle loro passività a breve termine, mentre i tassi attivi sui loro crediti con scadenza a lungo termine rimarrebbero stabili, provocando una contrazione del margine d’interesse. Questo perchè ‘la reattività‘ alle banche centrali dei tassi bancari a breve termine risulta superiore rispetto a quella dei tassi su scadenze (tenor) superiori. Sapendo che talvolta, nella propria attività di gestione caratteristica operativa la banca ‘trasforma le scadenze’ disponendo di passività (depositi) molto sensitive alla variazione dei tassi e attività meno sensitive all’aumento dei tassi, il margine d’interesse non solo non aumenterebbe ma addirittura si ridurrebbe. Per tale via, il maturity mismatching può essere considerato uno dei driver principali della relazione tra i margini d’interesse e le variazioni di tasso ufficiale.

Un altro aspetto importante, rappresenta la capacità che hanno le banche d’influenzare, mediante un cartello o accordo interbancario la cosiddetta ‘forbice’ (o spread) tra tassi attivi e tassi passivi controllando di fatto le oscillazioni del proprio margine d’interesse in caso di aumento dei tassi ufficiali, quindi adattando di conseguenza il proprio ‘tariffario’ alla clientela .

   In tale ipotesi, le banche cercherebbero di ridurre al minimo i tassi offerti sui depositi alla clientela al fine di ridurre i propri costi, modificando a rialzo i tassi sul credito retail e corporate, al fine di rispecchiare al meglio il nuovo scenario di tasso; in questa fattispecie, le banche si andrebbero ad avvantaggiare della relativa ‘rigidità’ o insensitività dei depositi alle variazioni di tasso ufficiale al fine di modificare il differenziale dei tassi di interesse a loro vantaggio. Gli esperti sostengono inoltre che, qualora il livello dei tassi ufficiali sia molto prossimo allo 0 o addirittura negativo (che guarda caso corrisponde alla situazione attuale in Europea e Stati Uniti), anche in presenza di rialzi minimali di tasso (es.10-15 basis points) tale prossimità allo 0 tende a mantenere i tassi versati ai depositanti (spesso addirittura negativi, quindi ‘pagati’ dai depositanti) molto prossimi ai tassi incassati sui crediti, comprimendo quindi i margini d’interesse.

   Si ricordi tuttavia che, se la Banca Centrale intende alzare i tassi, le banche potrebbero essere in grado di riportare lo spread tassi attivi-tassi passivi ai livelli target, modificando a rialzo i tassi pagati ai clienti sui depositi in modo più lento e graduale rispetto ai tassi incassati sui prestiti che vengono ritoccati a rialzo rapidamente. Il concetto di fondo  è che, gli spread si comprimono al limite inferiore e, qualora la politica monetaria della Banca Centrale fosse restrittiva, i ritocchi sui tassi attivi e passivi riporteranno il margine d’interesse ai livelli target.

Inoltre, un altro fenomeno importante è il ‘tempo di reazione’ dei tassi applicati alla clientela alle politiche monetarie restrittive delle banche centrali, quindi si constata l’esistenza di un gap temporale anche non breve tra annuncio sui tassi ufficiali e modifica dei tassi bancari.

Lo studio evidenzia infine un aspetto dimensionale, ovvero che, non di rado la composizione degli attivi di bilancio delle banche di maggiori dimensioni differisce molto rispetto a quelle di dimensioni inferiori. In tal senso, le banche piccole si caratterizzano per un’elevata concentrazione di depositi ‘core’ di clientela retail che normalmente restano ‘parcheggiati’ per lungo tempo senza essere spostati, o da depositi di PMI, questo dà alla Banca maggior respiro, incentivando una maggiore probabilità di correlazione positiva tra aumento dei tassi ufficiali e tassi attivi. Le grandi banche, al contrario, detengono una quota maggiore di depositi ‘wholesale’, maggiormente volatili rispetto ai depositi core, tipici delle tesorerie delle grandi imprese, le quali hanno una sensibilità maggiore alla variazione dei tassi sul mercato, quindi questi depositi sono facilmente ‘spostabili’ dall’impresa cliente da una banca all’altra al fine di ottenere condizioni di credito e deposito migliori.

Alle argomentazioni su esposte dagli autori, noi di AnalisiBanka aggiungiamo due  considerazioni:

  • la prima puramente finanziaria e intuitiva: un aumento dei tassi ufficiali può rappresentare per le banche con attivi finanziari importanti fortemente concentrati su titoli obbligazionari sia una occasione di acquisto sui mercati, sia una potenziale riduzione delle plusvalenze preesistenti sui titoli già detenuti a Bilancio, vista la correlazione quasi diretta tra aumenti dei tassi e corrispondente riduzione nelle quotazioni obbligazionarie.
  • La seconda basata sempre sul differenziale di ‘sensitività’ ai tassi o duration delle poste dell’attivo e passivo (leveraged adjusted duration gap): se la banca centrale alza repentinamente i tassi e le passività hanno una sensitività superiore alle variazioni di tasso rispetto alle attività il loro valore ‘scenderà di più’ rispetto a quello delle attività determinando una differenza maggiore tra attivo e passivo quindi un maggior patrimonio netto (equity).
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