I conferimenti in criptovalute nel capitale sociale delle società di capitali.

I conferimenti in criptovalute nel capitale sociale delle società di capitali. Un’analisi al di là del recente decreto del Tribunale di Brescia.

Novembre, 2018

Autore: dr. ROBERTI Roberto
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1. INTRODUZIONE. IL RECENTE DECRETO DEL TRIBUNALE DI BRESCIA RELATIVO AD UN CASO DI CONFERIMENTI IN “NON-CRIPTOVALUTE”. 

Il complesso tema dei conferimenti in criptovalute nel capitale sociale delle società di capitali è stato oggetto di un recente dibattito tra gli appassionati e gli studiosi del mondo cripto a causa di un Decreto del Tribunale di Brescia emesso all’esito di un procedimento di volontaria giurisdizione. (1) 

Il Collegio Giudicante aveva respinto il ricorso di un Amministratore unico di una S.r.l. avverso il rifiuto da parte di un Notaio di iscrivere nel Registro delle Imprese la delibera di aumento del capitale sociale attraverso il conferimento di una somma di una certa criptovaluta. Secondo il Collegio si trattava di un “criptovaluta in fase embrionale”: dunque, una non-criptovaluta o al massimo una criptovaluta solo “in potenza”, che solo apparentemente rivestiva le caratteristiche tipiche di questi asset digitali, contrariamente da quanto sostenuto dalla difesa della S.r.l. nonché dall’esperto che aveva redatto la relazione di stima. 

Tuttavia, il tema generale dei conferimenti in criptovalute veniva affrontato dal Giudicante in maniera piuttosto marginale: ai fini della decisione, infatti, era molto più rilevante stabilire se le conclusioni della relazione relative a quelle specifiche fake-valute fossero connotate da logicità, coerenza e ragionevolezza (il Giudice di volontaria giurisdizione, infatti, non può entrare nel merito della relazione di stima sostituendosi all’esperto). 

Per tali motivi ritengo non necessario svolgere un mero commento al Decreto del Tribunale di Brescia e prescinderò quasi totalmente da esso. Il mondo delle criptovalute è così vasto che non lo si può affrontare solo da un punto di vista generale, ma è necessario un approccio analitico, iniziando dalle definizioni, che mai come in questo caso sono importanti. Dentro la categoria generale “criptovaluta”, infatti, sono riconducibili varie tipologie di asset digitali che hanno caratteristiche molto differenti tra loro; pertanto, sarà inevitabile esaminare le varie questioni per ciascuna categoria di criptoasset. 

La tematica oggetto del presente paper è importante anche da un punto di vista bancario: potrebbero esserci, infatti, non pochi problemi per un istituto di credito che debba calcolare il rating bancario ai fini della concessione di un finanziamento richiesto da una società che ha conferito criptovalute nel capitale sociale o che comunque li possiede all’interno del suo patrimonio. Pertanto, sarà necessario affrontare il non facile problema della loro allocazione nel bilancio societario e la loro incidenza sul rating bancario. 

2. IL PRIMO OSTACOLO DA SUPERARE: LA DEFINIZIONE GIURIDICA DI CRIPTOVALUTA. LE DIVERSE TIPOLOGIE DI CRIPTOVALUTE AD OGGI ESISTENTI NEI MERCATI. 

La prima questione da affrontare è capire che cos’è in generale una criptovaluta. È bene premettere che la risposta non è affatto semplice e richiederebbe una trattazione a parte. Naturalmente, per ragioni di spazio e ai fini della tematica oggetto di questo paper, cercherò di essere il più sintetico e chiaro possibile per chi approccia solo adesso alla materia. (2) 

Innanzitutto, è d’obbligo un brevissimo cenno relativo alla tecnologia alla base delle criptovalute, ovvero la Blockchain. Si tratta un database distribuito e peer to peer che, nel caso delle criptovalute, è utilizzato come una sorta di registro pubblico (Distributed Ledger) in cui sono contenute tutte le transazioni di valore economico, rappresentato dalle criptovalute stesse, tra gli utenti che usufruiscono del database. Le transazioni vengono inserite in una catena di “blocchi” che garantisce (o dovrebbe garantire) l’immodificabilità del dato, evitando il c.d. “problema della doppia spesa” (3). I blocchi sono creati da un’attività di calcolo computazionale detta mining, attività che può essere svolta da chiunque abbia un calcolatore informatico: come ricompensa il soggetto che fa mining, detto miner, otterrà un certo quantitativo di criptovalute (4). Altro aspetto importante da evidenziare è quello dell’anonimato delle criptovalute, da intendersi in senso giuridico e non informatico: generalmente nel pubblico registro, infatti, non compare l’identità reale di chi effettua la transazione, ma piuttosto un’identità digitale rappresentata da un codice alfanumerico relativo al “wallet” dell’utente, cioè un portafoglio digitale in cui l’utente stesso tiene custodite le sue criptovalute (5). 

Riguardo il dato normativo, allo stato attuale abbiamo solo due “tentativi” di definizione giuridica di criptovaluta: tali previsioni normative, infatti, stabiliscono più che altro cosa non è una criptovaluta piuttosto che descriverne le caratteristiche. La prima si trova all’art. 1 c.2. lett. qq) del D.lgs. 231/2007 introdotto dalla legge 90/2017, la seconda all’art. 3 punto 18) della nuova V direttiva antiriciclaggio. Le definizioni sono quasi del tutto identiche, dunque, si può schematizzare il loro contenuto nel modo seguente. 

La “valuta virtuale” (i.e. criptovaluta) è: 

  • Una rappresentazione digitale di valore: ciò che dà un valore in termini monetari alle criptovalute è la possibilità di essere “convertite”, o meglio acquistate con valuta fiat tramite, ad esempio, le piattaforme web denominate “Exchange”, o altri canali come gli ATM, etc…
  • Utilizzata come mezzo di scambio per acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente. 

La valuta virtuale non è: 

  • Emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica;
  • Necessariamente collegata a una valuta avente corso legale;
  • Non possiede lo status giuridica di valuta.

In realtà il mondo delle criptovalute è molto più complesso rispetto a quanto descritto dal legislatore italiano ed europeo. Attualmente ce ne sono circa 2500 e con caratteristiche molto differenti tra loro. Naturalmente sarebbe impossibile ed inutile riportarle tutte.

Tuttavia, si suole dividere le criptovalute in 3 diverse categorie: Coin, Security Token, Utility Token. Mi permetto di aggiungerne una quarta che sta sempre di più emergendo negli ultimi mesi, ovvero le Stablecoin: sebbene non sia pacifico che queste rientrino tra le criptovalute vere e proprie, in quanto generalmente appartengono a piattaforme che non hanno le caratteristiche di decentralizzazione tipiche della Blockchain, tuttavia ai fini della presente trattazione possono essere rilevanti in quanto ben potrebbe capitare un caso di conferimenti in “StableCoin”.

Cercheremo di seguito di spiegarne sinteticamente le loro caratteristiche generali, approfondendo più avanti gli aspetti più rilevanti ai fini della disciplina dei conferimenti nel capitale sociale.

Coin.
Riguardo alla definizione di questa tipologia di criptovaluta non c’è unanimità di vedute.

C’è un orientamento che afferma che siamo di fronte ad una vera e propria nuova moneta digitale alternativa a quella legale. L’Agenzia delle Entrate in ben due Risoluzioni, nonché la Corte di Giustizia Europea, sembrano optare per questa soluzione (6).
Un altro orientamento, rappresentato soprattutto dalle numerose dichiarazioni di rappresentanti di varie Banche Centrali (7), nonché, come si è visto, dallo stesso legislatore europeo, esclude la natura di moneta. Ad oggi sono da considerarsi, quindi, come un mero mezzo di scambio. 

Come ho ampiamente dimostrato in un mio recente saggio, a mio avviso è bene sottolineare anche la funzione speculativa dei Coin, di cui fa parte anche il famoso Bitcoin: sono ormai note le continue e brusche oscillazioni di valore e le bolle speculative che ruotano intorno a tale criptoasset e ad altri Coin. Inoltre, è bene anche sottolineare che questi prodotti speculativi appartengono a mercati privi di ogni regolamentazione. 

Dunque, personalmente ritengo che i Coin siano dei prodotti speculativi atipici che, come tutti gli asset, possono essere utilizzati anche come mezzi di scambio all’interno dei circuiti che li accettano. 

Security Token.
La terminologia per indicare tali tipi di asset non è univoca (8): in generale per Security Token si intendono degli strumenti finanziari aventi funzioni di investimento. Analogamente ai Coin appartengono a mercati anch’essi non regolamentati.
Possono avere funzione di Equity Investment (da qui anche il nome di alcuni asset detti “Equity Token”): in questo caso il loro valore sarà legato all’andamento di un’impresa che sviluppa dei veri e propri progetti industriali su piattaforme Blockchain (Ethereum è la prima e la più famosa piattaforma in cui è possibile realizzare questi progetti).
Altri tipi di Security Token hanno caratteristiche simili alle obbligazioni o ai derivati, oppure possono essere legati al valore di beni fisici, come ad esempio immobili.
A causa della loro funzione di investimento, le oscillazioni di valore di tali tipi di asset sono mediamente meno brusche rispetto ai Coin. 

Utility Token.
Sono rappresentativi di diversi diritti, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo, oppure sfruttamento di potenza computazionale, diritto di utilizzare spazio di un cloud etc..). Rappresentano semplicemente delle utilities e non essendo legate, quindi, all’andamento dell’impresa che le emette, i prezzi sono decisamente più stabili rispetto ai Token precedentemente descritti e rimangono quasi costanti nel tempo, a meno che non si rivelino successivamente dei fake.

Stablecoin.
Come si evince dallo stesso nome, tale tipologia di criptovaluta ha come caratteristica principale la stabilità del valore che questa rappresenta. Non è il caso in questa sede di indugiare troppo sui meccanismi che permettono tale stabilità. E’ sufficiente considerare che uno Stablecoin è generalmente legato all’andamento di una specifica valute legale, come il dollaro, la sterlina etc.. Esistono, tuttavia, Stablecoin che seguono il valore di altre criptovalute e, da ultimo, Stablecoin che mantengono un valore stabile sulla fiducia degli utenti. Tuttavia, ai nostri fini considereremo solo la prima tipologia, in quanto è l’unica che certamente garantisce una vera e propia stabilità, mentre le altre sono ancora in fase di sviluppo e vi sono ancora troppe incertezze a riguardo, o comunque potrebbero avere caratteristiche simili ai Coin. 

3. LA DISCIPLINA DEI CONFERIMENTI E LE CRIPTOVALUTE. LA LORO ALLOCAZIONE ALL’INTERNO DEL BILANCIO SOCIETARIO. 

Dunque, dopo aver brevemente descritto ciascuna tipologia di criptovaluta, risulta ora più agevole tornare al centro della questione che ci occupa, ovvero se questi asset possano essere conferiti nel capitale sociale delle società di capitali e, quindi, se assolvono alle funzioni tipiche del capitale sociale, quali la funzioni di garanzia per i creditori, di produttività, etc. 

Sia per ragioni di spazio che di utilità non ritengo necessario fare un’introduzione sulla disciplina codicistica che riguarda i conferimenti nelle S.p.A. e nelle S.r.l., rinviando quindi alla più consolidata e aggiornata manualistica. A mio avviso, in questa sede è bene rilevarne solo gli aspetti più rilevanti ai nostri fini. 

Innanzitutto, escluso che le criptovalute abbiano natura di moneta, l’art. 2342 c. 3 c.c. per le S.p.A. e l’art. 2464 c.5 c.c per le S.r.l. ci impongono di stabilire se queste possano essere considerate dei beni in natura oppure dei crediti: la differenza è importante perché si dovrà applicare rispettivamente per la prima l’art. 2254 c.c, ovvero la garanzia per vizi ed evizione, e per la seconda la garanzia per insolvenza del debitore di cui all’art. 2255 c.c.. 

Per rispondere a tale quesito, le sopra citate definizioni legislative contenute all’interno del D.lgs. 231/07 e della V Direttiva AML non ci vengono affatto in aiuto: i termini come “rappresentazione di valore” e “mezzo di scambio” potrebbero essere intesi sia come bene in natura che come credito. 

Un altro problema rilevante è la non facile ricerca di un esperto di criptovalute che effettui una relazione di stima attendibile in base agli artt. 2343 e 2465 c.c.. In Italia non esiste ancora alcun albo specifico a riguardo: una soluzione potrebbe essere quella di fare affidamento a quegli esperti ufficialmente riconosciuti come tali dalle “cripto-community” presenti nel web, ma tale requisito non garantisce totale attendibilità. Dunque, tutti gli attori coinvolti nella fase di ricerca dell’esperto dovrebbero essere molto scrupolosi. Compito, tra l’altro, che si rivela ancora più difficile per un Notaio o un Giudice totalmente profano in materia di criptovalute (e non occorre svolgere un’accurata statistica per constatare che in ambito forense i profani sono ancora la stragrande maggioranza, sebbene per ragioni del tutto comprensibili data la novità della materia). 

Inoltre, in fase di perizia, vedremo che non sarà sufficiente constatare sic et simpliciter che i criptoasset da conferire siano suscettibili o meno di valutazione economica o se appartengano a dei mercati in cui sia possibile cederli in cambio di denaro, atteso che questa è una caratteristica comune a tutte le criptovalute. Meno importante sarà capire se un determinato criptoasset possa essere suscettibile di esecuzione forzata (questione, tra l’altro, in sè complessa per la quale occorrerebbe una trattazione a parte), soprattutto se si aderisce alla corrente dottrinale che reputa irrilevante tale requisito ai fini della disciplina dei conferimenti. 

A mio parere occorrono degli ulteriori fondamentali accertamenti: dopo aver analizzato la reale natura di ciascuna tipologia di criptovaluta, si dovrà constatare se queste attribuiscono a chi ne è titolare dei diritti giuridicamente tutelabili; inoltre, è importante constatare quali possono essere gli effetti di un loro conferimento nel capitale sociale, affrontando così anche la questione relativa alla loro allocazione nel bilancio societario. Cercherò di seguito di svolgere questo non facile compito. 

A) I CONFERIMENTI IN COIN 

Abbiamo definito sopra i Coin come prodotti finanziari speculativi appartenenti a mercati non regolamentati: come è intuibile, in ragione di tali caratteristiche si pongono non pochi problemi in ordine alla loro conferibilità nel capitale sociale. 

Un autorevole studioso in materia (9) ha affermato che il Bitcoin (il più famoso e utilizzato tra i Coin) sia riconducibile alla categoria dei beni in natura in base ad “un’interpretazione non più cristallizzata dell’art. 810 del codice civile, che tenga conto dell’evoluzione della società…”. Più specificatamente, alla luce della  spiegazione all’art. 17 della CEDU che tutela la proprietà intellettuale (10), tra i citati “diritti analoghi” alla stessa proprietà intellettuale si potrebbe far rientrare il Bitcoin quale bene immateriale non tipizzato. Per tale motivo, conclude lo studioso, il Bitcoin sarebbe conferibile nel capitale sociale al pari degli altri beni immateriali tutelati dalla citata norma. 

Tuttavia, a mio modesto avviso tale interpretazione, seppur molto autorevole, mi lascia non pochi dubbi. Non riesco davvero a vedere nei Coin nulla di “analogo” alla proprietà intellettuale. Il Bitcoin e gli altri Coin si basano su Blockchain pubbliche e open source, che costituiscono proprio la negazione della proprietà intellettuale. 

Per risolvere il problema credo che più che concentrarsi sulla loro natura intrinseca, sia necessario capire se i Coin attribuiscono diritti giuridicamente tutelabili a chi ne è titolare e se questi siano dei diritti reali o dei diritti di credito. 

Innanzitutto, non credo che si possa affermare che in capo al titolare di un Coin sussista un diritto di proprietà o un altro diritto reale: mi pare francamente surreale l’ipotesi che un Giudice possa concedere al “proprietario” di un determinato quantitativo di Coin un’azione di rivendica. 

Tuttavia, è altrettanto difficile pensare che il possesso di una somma di Coin attribuisca a chi ne è titolare un diritto di credito. I mercati delle criptovalute, si ricorda, non sono regolamentati. A differenza di ciò che succede all’interno dei mercati regolamentati, ove esiste da parte del detentore del titolo di credito il diritto alla sua convertibilità in denaro o in altri beni, nel caso dei “criptomercati” non esiste alcuna reale garanzia in tal senso. Anche se potrebbe essere considerata un’ipotesi remota, ben potrebbe accadere che un Coin fino a ieri accettato dagli Exchange possa oggi non essere più riconosciuto. Oppure, ancora peggio, potrebbe accadere un “51% Attack”, ovvero, in sintesi, un attacco informatico commesso dal 51% dei miner che saboterebbe la Blockchain nella quale viene “minato” il Coin, rischiando quindi di comprometterne definitivamente il valore. 

Non a caso il legislatore europeo ed italiano nella nuova normativa AML in riferimento alle “valute virtuali” come mezzi di scambio ha inserito termini come “accettati” o “utilizzati”, escludendo quindi ogni richiamo alla possibilità che possano attribuire dei diritti tutelabili a chi ne è titolare. Dunque, parrebbe sussistere una sorta di convenzione morale o sociale tra gli utenti nell’attribuire ai Coin valore economico. Sembra, quindi, che rappresentino tuttalpiù delle mere obbligazioni naturali di cui all’art. 2034 c.c.: infatti, manca ogni rapporto obbligatorio tra un soggetto centrale e l’utente, né sussistono forme di garanzie o tutele per gli investitori a differenza di quanto vedremo per i Security e gli Utility Token (ciò non esclude comunque che i Coin siano comunque meritevoli di essere sottoposti alle normative antiriciclaggio data la loro rilevanza economica e in quanto suscettibili ad essere utilizzati a fini riciclatori, analogamente a ciò che avviene per i giochi d’azzardo e le scommesse che sono ambiti ben più regolamentati rispetto ai mercati dei Coin). 

Non si può nemmeno affermare che il White Paper in cui sono scritte le regole del “gioco” abbia valore contrattuale, nemmeno sotto forma di offerta al pubblico ex art. 1339 c.c. o di promessa al pubblico ex art. 1989 c.c.: il White Paper è più che altro una mera manifestazione di intenti di chi crea una nuova criptovaluta in cui è assente ogni impegno vincolante. Inoltre, specie se il White Paper è stato scritto da un soggetto coperto da anonimato come Satoshi Nakamoto, inventore di Bitcoin, ben difficilmente si potrebbe individuare un convenuto a cui chiedere un risarcimento danno per emissione di Coin fraudolenti (che magari nascondono schemi “Ponzi”) o altri tipi di illecito. In assenza di regolamentazioni, nessun ente pubblico a quel punto potrebbe impedire o porre rimedi ad eventi così nefasti. 

Dunque, per tali motivi il Coin non rappresenta alcun diritto di credito giuridicamente tutelabile. Chi sostiene il contrario dovrebbe spiegare in base a quale norma o contratto valido un Giudice dovrebbe constatare che sussista un vero e proprio diritto di credito pecuniario in capo al detentore di un determinato Coin. Non si potrebbe nemmeno invocare l’art. 47 della Cost. che tutela il risparmio, perché non può certo dirsi che tali strumenti speculativi servano allo scopo descritto dalla citata norma costituzionale. A sostegno di questa tesi viene in aiuto l’Autorità Federale di vigilanza sui mercati finanziari della Svizzera (FINMA) che, continuando a studiare attentamente il fenomeno delle criptovalute, ad agosto di quest’anno ha concluso che “allo stato attuale dei fatti non risulta chiaro se le valute virtuali consentano di fondare pretese di diritto civile”. (11) 

Tutto ciò argomentato, escluso che si tratti di denaro, a me pare che ai fini della disciplina dei conferimenti nel capitale sociale i Coin non rientrano né tra i beni natura, né tra i crediti. Sebbene suscettibili di valore economico, sono pura speculazione, paragonabile ad un gioco d’azzardo ancora non regolamentato. A causa della loro altissima volatilità, dell’assenza di regolamentazione nei mercati in cui vengono quotati, e quindi di ogni tutela giuridica in ordine alla loro effettiva convertibilità in denaro, si sconsiglia un loro conferimento nel capitale sociale. 

A sostegno di tale tesi, viene ulteriormente in soccorso il Notaio protagonista della vicenda oggetto del citato Decreto del Tribunale di Brescia, che riferendosi alle criptovalute in generale aveva affermato: “stante la loro volatilità non consentono una concreta valutazione del quantum destinato alla liberazione dell’aumento del capitale sottoscritto, né di valutare l’effettiva quantità (quomodo) del conferimento. 

Nel caso comunque che i Coin riuscissero ad entrare nel patrimonio sociale, vi sarebbe tuttavia un altro complicato problema da risolvere, ovvero la loro allocazione bilancio societario. Avendo delle caratteristiche più simili a dei crediti che a dei beni in natura, ed essendo immediatamente convertibili (salvo gli imprevisti citati sopra), dovrebbero essere allocati nell’attivo circolante precisamente in “crediti verso altri” di cui alla voce C), II, 5-quater. Tuttavia, ci sarebbero problemi per stabilirne il valore di realizzo, ma stante la natura molto ambigua dei Coin non credo ci siano altre soluzioni. 

B) I CONFERIMENTI IN SECURITY TOKEN. 

“A token, a digital asset, where I give you my money and you go off and make a venture, and in return for giving you my money I say ‘you can get a return’ that is a security and we regulate that!”

Ho voluto iniziare il paragrafo mettendo in evidenza una dichiarazione molto chiarificatrice riguardo i Security Token (ST), rilasciata alla CNBC da parte di Jay Clayton, presidente della Securities and Exchange Commission (SEC) degli USA (12). Tale dichiarazione mette in evidenza la funzione di investimento dei ST: come abbiamo accennato sopra, tramite questi strumenti finanziari vengono sovvenzionati progetti di sviluppo legati alla tecnologia Blockchain, con l’aspettativa di un ritorno economico per l’investitore. 

Tuttavia, sono ancora pochi i Paesi (13), tra i quali per l’appunto gli USA (14), che stanno iniziando a regolamentare tali asset. Ciò nonostante, i ST possono essere denominati in questo modo ed essere altresì pienamente legittimi anche laddove manca ogni normativa ad hoc, salvo naturalmente negli Stati in cui sono ritenuti illeciti perché vietati o perché in contrasto con la legge come vedremo meglio tra breve. Sebbene, dunque, i ST siano degli strumenti finanziari atipici, rappresentano comunque un rapporto obbligatorio giuridicamente vincolante tra due soggetti ben definiti: l’emittente-debitore e il detentore del ST-creditore. 

A sostegno di tale assunto, si deve considerare che generalmente l’origine di tale rapporto sorge da un’Initial Coin Offering (ICO), cioè la versione Blockchain di una modalità di raccolta fondi detta Initial Public Offering (IPO). La start up tramite un White Paper propone al pubblico il progetto Blockchain che intende sviluppare;  per attrarre i primi finanziamenti necessari a tale scopo viene promossa una prevendita dei ST (fase di presale) verso grandi investitori che credono nel progetto industriale; l’emittente si impegna verso quest’ultimi a trasferirgli in futuro un certo quantitativo di ST una volta realizzato il progetto. Si arriva così alla fase di vendita al pubblico ed emissione vera e propria dei ST che, analogamente a dei titoli di credito, rappresentano un vero e proprio impegno giuridicamente vincolante da parte dello stesso emittente ad una prestazione economica verso il detentore dei ST, nonché l’attribuzione di altri diritti in capo a quest’ultimo secondo quanto stabilito dalle condizioni generali predisposte dall’emittente. 

Un particolare modello contrattuale solitamente utilizzato per attrarre investitori professionali è il Simple Agreement for Future Tokens (SAFT) (15), che ricalca quello del Simple Agreement for Future Equity che viene anch’esso generalmente adottato nella fase iniziale di presale (16). Non è possibile in questa sede approfondire molto su tale tipologia contrattuale: è sufficiente constatare che l’emittente, in questo caso, mette a disposizione dell’investitore un vero e proprio prospetto informativo contenente diversi diritti e garanzie a favore di quest’ultimo, offrendo dunque maggiori tutele rispetto ad una semplice ICO. Certamente potranno dirsi “totalmente sicuri” i ST emessi in base ad un SAFT registrato da un ente pubblico dopo che questi ha accertato la sussistenza dei requisiti necessari per la registrazione stessa, proprio come avviene negli Stati Uniti da parte della SEC. 

Tuttavia, è opportuno ribadire che anche i ST, benché abbiano una serie di garanzie di cui i Coin sono totalmente privi, appartengono ancora generalmente a mercati non ancora regolamentati: un conto, infatti, è regolamentare gli asset, attribuendogli la qualifica di “Security” come prevede la SEC, un altro conto è la regolamentazione dei mercati in cui questi vengono negoziati. 

Dunque, alla luce delle caratteristiche pocanzi illustrate, risulta chiaro che ai fini della disciplina dei conferimenti i ST rappresentano dei crediti. Tuttavia, l’esperto che si occuperà di redigere la relazione della stima, a mio avviso dovrà affrontare dei compiti preliminari non affatto semplici. 

Innanzitutto, credo che sia necessario accertare in quale fase si trova i ST in questione e, quindi, l’impresa emittente: 

  • Se ci si trovano ancora in fase di prevendita (presale), in realtà si tratterebbe di crediti futuri: non potrebbero, quindi, essere conferiti nel capitale sociale, nonostante vi sia un formale impegno da parte della start up finanziata di restituire il capitale investito nel caso in cui il progetto finanziato non dovesse andare a buon finire. Inoltre, altro argomento a favore dell’impossibilità di conferimenti di ST futuri è che in questa fase non hanno ancora un chiaro valore di mercato.
  • Una volta emessi i ST, se il progetto è da poco operativo e non è ancora misurabile il successo dell’azienda, a mio avviso anche in questo caso il principio di prudenza impone l’impossibilità di ogni loro conferimento.
  • Superate le due fasi precedenti, i ST dovrebbero acquistare un vero e proprio valore di mercato e, dunque, potranno poi essere conferibili nel capitale sociale. Certamente un requisito necessario sarà la possibilità di scambiarli con denaro negli Exchange. 

Tuttavia, l’esperto dovrà ancor prima verificare che il ST non mascheri in realtà un prodotto speculativo qualificabile come Coin che, seguendo la tesi da me propugnata sopra, non potrà essere affatto conferito nel capitale sociale. Dovrà quindi studiare attentamente il White Paper alla base del progetto onde evitare possibili “trappole” e conferimenti in criptofake. 

A mio avviso altrettanto importante sarà accertare quali sono i diritti e le garanzie attribuite dal ST. Non da ultimo, di particolare rilevanza è la questione della legge applicabile all’ICO o al SAFT in base alle regole di diritto internazionale privato o da quanto previsto dalle condizioni generali predisposte dall’emittente. Infatti, se il diritto applicabile sarà quello di uno Stato in cui sono vietate le ICO o i SAFT, è chiaro il grave rischio che queste forme di crowfunding possano essere dichiarate nulle, con la conseguenza dell’irrilevanza economica dei ST da conferire nel capitale. Anche laddove il diritto di uno Stato non vieti esplicitamente i ST, potrebbero comunque esserci dei problemi di compatibilità con la normativa civile o fiscale, per esempio, in caso di sussistenza di contrasti con norme imperative. 

Riguardo specificatamente la prima questione relativa dell’accertamento dei diritti attribuiti a chi è titolare dei ST, prendiamo ad esempio i c.d. “Equity Token” (ET): sebbene abbiano delle caratteristiche simili alle azioni in quanto il loro valore è legato all’andamento dell’impresa finanziata, da un punto di vista giuridico non possono affatto essere considerate delle azioni, ma degli strumenti finanziari atipici come già accennato sopra. Tutti i diritti inerenti a questi asset, come ad esempio il diritto agli utili, riguardano esclusivamente il mondo “cripto” in base a quanto previsto dalle condizioni generali predisposte dall’emittente. Per una migliore comprensione, possiamo rappresentare tale situazione come segue: nel “mondo reale” abbiamo un’impresa che sviluppa progetti Blockchain e che segue tutte le norme relative alla disciplina dell’impresa e, se è stata costituita sotto forma di società di capitali, deve sottostare a tale disciplina prevista dallo Stato in cui questa ha la sede legale; tale società affacciandosi nel “mondo cripto” cerca investitori e forme di finanziamento atipiche e diverse da quelle del “mondo reale”, proprio attraverso l’emissione (ove non vietata) di questi strumenti finanziari atipici. I “criptoinvestitori” o comunque i detentori degli ET, non ponendosi sul piano “reale”, non possono essere considerati dei veri e propri azionisti, ma dei meri creditori. 

Le stesse considerazioni valgono anche per gli altri tipi di ST, come quelli rappresentativi di diritti simili alle obbligazioni, ai derivati, etc.: non potrebbero essere applicate a questi strumenti atipici le stesse regole dei loro corrispondenti tipici. Dunque, deve essere censurato ogni tentativo di ricondurre al suo corrispondente tipico il ST da conferire. 

Riguardo all’ulteriore problema di diritto internazionale privato, si pensi al caso in cui si debba applicare il diritto italiano. 

Si porrebbe innanzitutto un delicato problema di compatibilità con l’art. 2004 c.c. relativa alla limitazione della libertà di emissione di titoli al portatore: infatti, i ST sembrano generalmente avere queste caratteristiche, dato che per ai fini del trasferimento da un soggetto all’altro è sufficiente la consegna del titolo. Inoltre, potrebbe sussistere un contrasto con la L. n.221/12 e con il Regolamento Consob n. 19520/13: la prima normativa, infatti, stabilisce una serie di requisiti che devono avere le start up affinché si possa ricorrere all’Equity Crowfunding, mentre il Regolamento prevede che la raccolta fondi debba avvenire attraverso portali online gestiti da soggetti iscritti in apposito albo tenuto dalla Consob (17). 

Riservandomi di sciogliere tali ultimi questioni in altre sedi, qui è importante far osservare al lettore quanto sia complesso il compito dell’esperto nel redigere la relazione di stima, in quanto non è sufficiente constatare sic et simpliciter che un Token sia considerato di tipo “Security” per poter essere sempre conferibile nel capitale sociale (!!!). 

Ad ogni modo, una volta superati i complessi filtri legali pocanzi descritti, si dovrebbe successivamente quantificare il valore dei ST. A mio avviso il criterio da seguire sarà quello del valore normale derivante dalla quotazione del criptoasset nei mercati non regolamentati. In particolare, per ciò che riguarda i conferimenti dei ST nelle SpA, preme osservare che se in futuro questi criptoasset iniziassero ad essere quotati anche nei mercati regolamentati, potrebbero essere valutati secondo il criterio del prezzo medio ponderato degli ultimi sei mesi a norma dell’art. 2343ter c.c., evitando così la necessità della relazione di stima. 

Riguardo la loro allocazione nel bilancio societario, essendo degli strumenti finanziari atipici, dovranno essere allocati tra i crediti nella sezione “altri titoli”, evitando ogni tentativo di “tipizzazione” pocanzi descritto. Ad esempio, per ciò che riguarda gli ET, non potranno essere allocati nell’attivo dello stato patrimoniale tra le partecipazioni bensì, a seconda che rappresentino investimenti a lungo o a breve termine, rispettivamente tra gli “altri titoli” che costituiscono immobilizzazioni o nel secondo caso nell’attivo circolante. Stesso ragionamento vale anche per i ST che attribuiscono diritti analoghi alle obbligazioni, etc… 

C) UTILITY TOKEN. 

Per ciò che riguarda gli Utility Token (UT), si è detto sopra che non sono emessi a scopo di finanziamento ma, come dice il termine stesso, per dare un’utilità o un servizio a chi ne è in possesso. Non è possibile in questa sede fare una disamina di tutti i tipi di UT, quindi tratteremo la questione da un punto di vista delle loro caratteristiche generali. 

A mio avviso gli UT dotati della caratteristica della conferibilità sono quelli che attribuiscono a chi ne è titolare dei veri e propri diritti quantificabili economicamente e giuridicamente tutelabili: si pensi, ad esempio, al diritto di usufruire di un determinato servizio o a uno spazio di cloud, oppure la possibilità di sfruttare una licenza software, un brevetto o un marchio. In questo caso ci troveremmo davanti a dei criptoasset aventi la caratteristica dell’immaterialità e che rientrerebbero, quindi, tra i beni in natura. Tuttavia, analogamente a quanto detto riguardo i ST, è sempre bene studiare il White Paper, le condizioni generali predisposte dall’emittente in fase di ICO, a che punto si trova il progetto, l’assenza di truffe o “faketoken”. Etc. 

Al contrario, gli UT non conferibili sono: 

  • quelli che non offrono utilità giuridicamente tutelabili a chi ne è in possesso o, più in generale, emessi per finalità di gioco; si pensi agli UT che conferiscono la possibilità di votare un’artista o un blogger nell’ambito di piattaforme Blockchain dedicati a tale scopo, oppure che fungono da “gettoni” per videogame o giochi d’azzardo basati su piattaforme Blockchain.
  • quelli che hanno come caratteristiche simili a di veri e propri “groupon digitali”: si pensi ai “buoni sconto” su determinati servizi offerti dalla piattaforma.

Gli UT hanno una stabilità dei prezzi maggiore rispetto ai ST e ai COIN. Dunque, in ordine alla quantificazione del loro valore non ci dovrebbero essere problemi e si utilizzerà facilmente il criterio del fair value.
Riguardo la loro allocazione nel bilancio societario, essendo dei beni immateriali gli UT dovrebbero essere allocati nell’attivo dello stato patrimoniale in “altre immobilizzazioni immateriali”, ovvero alla voce B) I. 7).

D) STABLECOIN

Riguardo questa particolare forma di criptoasset digitale, si è detto supra che ci occuperemo solo di quelli legati alle valute fiat.

In questo caso non si pongono particolari problemi in ordine alla loro stima, che naturalmente sarà pari al loro corrispondente in denaro. Di non immediata soluzione, invece, è la questione relativa alla loro qualificazione per ciò che concerne la disciplina dei conferimenti: si tratta di denaro, beni in natura o di crediti? 

La prima soluzione escluderebbe la necessità di ricorrere ad una relazione di stima. Tuttavia, a mio avviso nemmeno gli Stablecoin (SC) possono essere considerati “denaro” in senso giuridico. Pur avendo da un punto di vista economico delle caratteristiche molto simili alla moneta (unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore), gli SC non sono emessi da alcuna banca centrale ma bensì da un ente privato. 

Anche nell’ipotesi di “criptovalute di stato”, cioè SC emessi da un ente statale che li dichiara moneta legale, principio di prudenza imporrebbe anche in questo la necessità di un esperto che accerti la serietà del White Paper, e quindi le modalità attraverso le quali vengono emesse, la loro effettiva interscambiabilità con le valute fiat, etc… Infatti, solitamente questa tipologia di criptovalute vengono emesse da Paesi fortemente instabili da un punto di vista economico e sociale.18 

Esclusa la natura di denaro, bisogna constatare se gli SC siano dei crediti o a dei beni in natura. Personalmente propenderei per la prima ipotesi: un SC attribuisce a chi lo detiene solamente la possibilità di convertirlo in valuta fiat (al netto del costo di commissione) ed utilizzarlo come mezzo di scambio. 

Tuttavia, l’esperto dovrà anche constatare che le società che emettono gli SC abbia passato con esito positivo dei controlli da parte delle società di revisione e degli enti pubblici preposti: il rischio più importante, infatti, è quello che il SC in questione non sia effettivamente sostenuto da riserve di valute fiat da parte dello stesso emittente. Si dovrà quindi evitare di conferire nel capitale SC emessi da società poco trasparenti o che addirittura possono rivelarsi delle vere e proprie truffe. Al contrario, saranno certamente conferibili gli SC che hanno ottenuto l’approvazione da parte di enti pubblici, come ad esempio è accaduto per recentissimo Gemini Dollar da parte del Dipartimento dei Servizi Finanziari di New York. 

In ordine alla loro allocazione in bilancio, analogamente ai ST andranno inseriti nell’attivo circolante tra “i crediti verso altri”. Tuttavia, non potrebbero mai rappresentare delle immobilizzazioni in quanto, in ragione della loro natura sopra descritta, non possono costituire forme di investimento a lungo termine. 

4. LE CRIPTOVALUTE NEL PATRIMONIO SOCIALE AI FINI DEL CALCOLO DEL RATING BANCARIO. 

Analizzati tutti i problemi relativi alla conferibilità e all’allocazione delle criptovalute nel bilancio sociale, possiamo ora svolgere una, seppur breve, analisi della loro incidenza sul calcolo del rating bancario. Anche in questo caso analizzeremo il problema suddividendolo per tipologia di criptovalute. 

  • Società che detiene Coin: nel caso in cui i Coin dovessero entrare nel patrimonio sociale, vi sarebbe un notevole impatto in ordine al rischio di insolvibilità, data l’alta instabilità di questa tipologia criptoasset e l’assenza di tutela giuridica in ordine alla convertibilità in valuta fiat. Certamente più il Coin è sconosciuto e ha poco mercato, più si deve alzare il livello di rischio.
  • Società che detiene Security Token: in questo caso il rischio è più basso rispetto ai Coin, anche se comunque anche questi asset sono dotati di una certa volatilità. Andrà fatta un ulteriore valutazione finanziaria dell’impresa che ha emesso i ST.
  • Società che detiene UT e SC: il rischio è decisamente basso, stante la loro stabilità dei prezzi, ma anche in questo caso occorre sempre svolgere delle indagini sulla provenienza e sulla trasparenza di questi asset.

5. LE SOCIETA’ CHE HANNO COME OGGETTO SOCIALE L’EMISSIONE O LA COMMERCIALIZZAZIONE DI CRIPTOVALUTE. 

Da ultimo, c’è l’ulteriore questione dell’allocazione in bilancio delle criptovalute detenute dalle Società di capitali che hanno come oggetto sociale proprio un’attività economica strettamente legata alle criptovalute: possono essere società che svolgono attività di mining o altre attività computazionali (si pensi all’ipotesi di una Srl che ha un grande sistema computazionale all’interno di un capannone), oppure un’attività di compravendita di criptovalute come può essere un Exchange, etc… A mio avviso in questi casi le criptovalute non ancora vendute potrebbero essere allocate nell’attivo dello stato patrimoniale alla voce C) I, 4, quali prodotti finiti ancora da vendere. 

6. CONCLUSIONI. MONDO CRIPTO VS MONDO REALE: IL DIFFICILE ADATTAMENTO DELLE REGOLE DEI CRIPTOASSET ALLA NORMATIVA INERENTE AL CONFERIMENTO NEL CAPITALE SOCIALE E AL BILANCIO SOCIETARIO. 

Nel corso della trattazione abbiamo potuto constatare che il tema del conferimento dei criptoasset nel capitale sociale non solo è molto complesso in sé, ma rimanda inevitabilmente ad una serie di altre questioni altrettanto complesse e ancora del tutto aperte, per le quali occorrerebbero degli ulteriori seri approfondimenti finora mai svolti. 

Ciò è dovuto al fatto che ogni volta che si tenti di affrontare una tematica giuridica relativa ai criptoasset, appare sullo sfondo quello che è a mio avviso il problema principale o più precisamente un vero e proprio rompicapo: la compatibilità tra il mondo “cripto”, il cui sistema si basa sostanzialmente sull’assenza di ogni ente centrale governativo, e il sistema giuridico del mondo reale, le cui regole spesso confliggono con quelle del primo in quanto pensate principalmente per un sistema centralizzato. Inoltre, la rivoluzione Blockchain ha comportato e continua a comportare la creazione di asset totalmente nuovi con caratteristiche mai viste prima, ma che stanno avendo sempre più impatto sul diritto e sull’economia. 

Riguardo al delicato tema dei conferimenti nel capitale sociale, ho provato a dimostrare che non è sufficiente la mera applicazione analogica delle regole esistenti per stabilire se un criptoasset è conferibile o meno: l’interprete dovrà evitare ogni forzatura che vada contro la ratio delle norme esistenti, nonché contro le norme imperative. Quelle norme, come è intuibile, sono state poste per una serie di asset che hanno ben poco in comune con quelli appartenenti al nuovo mondo cripto. Si pensi, per esempio, alla dicotomia “beni in natura” e “crediti” che mal si adatta ai Coin, così come a molte altre problematiche che abbiamo affrontato nel corso di questa trattazione. 

Tuttavia, rimango apertissimo a soluzioni diverse da quelle da me prospettate. L’obiettivo principale del presente paper è quello di porre una serie di riflessioni per i professionisti che dovessero trovarsi davanti alle problematiche sopra descritte, nonchè di suscitare un dibattito che sia proficuo e utile per trovare le migliori soluzioni in attesa di interventi regolatori in ambito nazionale ed internazionale. 

Note:

  1. Dec.. n. 7556/2018 del 17/08/2018. 
  2. Per chi volesse approfondire mi permetto di suggerire un mio recente saggio intitolato “Le c.d. criptovalute. Una proposta di definizione giuridica al di là della nuova normativa antiriciclaggio. Il loro utilizzo per scopi illeciti. Profili fiscali” su https://www.meliusform.it/le-criptovalute-una-proposta-di-definizione-giuridica-parte-i.html, nonché la sitografia ivi riportata. 
  3. Nei sistemi centralizzati può ricorrere l’eventualità che un dato possa essere registrato due volte. Nel caso del sistema di una banca può accadere che un malintenzionato, modificando i dati del server centrale, possa inviare una stessa somma di denaro a due diversi destinatari, facendo in modo di configurare due transazioni come se fosse una sola.
  4. Questo sistema di validazione si chiama “Proof of Work”. Esiste anche un altro sistema di validazione chiamato “Proof of Stake”, che si basa su un diverso algoritmo, ma in sostanza svolge lo stesso compito della Proof of Work. 
  5. Per un approfondimento sui wallet digitali si veda l’ottimo approfondimento di S. CARRANO, “Depositi bancari, wallet e criptomonete.” in https://www.analisibanka.it/media/WalletdeF2AB.pdf 
  6. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 72/E del 02/09/2016; Interpello n. 956-39/2018; C.d.G. Europea causa C-264/14.
  7. Esemplare la dichiarazione di Draghi in uno recente intervento:” Un euro oggi, è un euro domani. Il suo valore è stabile. Il valore del Bitcoin oscilla enormemente. L’euro è supportato dalla Banca centrale europea, il dollaro dalla Federal Reserve, le monete sono sostenute dalle banche centrali. Nessuno sostiene il Bitcoin” in https://twitter.com/ecb/status/953945215299194880
  8. La FINMA, ad esempio, indica i Token di investimento con il nome di “Asset Token”, https://www.finma.ch/en/news/2018/02/20180216-mm-ico-wegleitung/ 
  9. S. CAPACCIOLI, “Perizia di stima per il conferimento di beni o servizi in natura di n. 45 bitcoin ex art. 2465 c.c.” in http://www.capaccioli.net/bitcoin/1.%20perizia%20di%20stima.pdf. 
  10. “La protezione della proprietà intellettuale, che costituisce uno degli aspetti del diritto di proprietà, è esplicitamente menzionata al paragrafo 2, in virtù della sua crescente importanza e del diritto comunitario derivato. Oltre alla proprietà letteraria e artistica la proprietà intellettuale copre, tra l’altro, il diritto dei brevetti e dei marchi e i diritti analoghi” 
  11. “Faktenblatt virtuelle waehrungen”, 30/08/2018, in www.finma.ch
  12. https://www.cnbc.com/2018/06/06/sec-chairman-clayton-says-agency-wont-change-definition-of-a-security.html
  13. Si è visto sopra come la Svizzera stia provvedendo alla regolamentazione delle criptovalute; anche Malta si sta muovendo a riguardo: http://www.wallstreetitalia.com/malta-approvera-il-primo-quadro-giuridico-su-criptovalute-e- blockchain/
  14. La SEC prevede una serie di requisiti specifici affinché un Token possa dirsi sicuro deve passare il c.d. “Howey Test”: 1. There is an investment of money;
    2. There is an expectation of profits;
    3. The investment of money is in a common enterprise;
    4. Any profit comes from the efforts of a promoter or third party;
    Per approfondimenti si veda https://www.sec.gov/news/speech/speech-hinman-061418 
  15. Per un approfondimento su tale tipologia di contratto si veda https://saftproject.com/
  16. Per ciò che riguarda il SAFE si veda l’ottimo articolo esplicativo di M. PRISCO in https://www.previti.it/archives/7146 
  17. Riguardo alla tesi del contrasto tra le normative citate e le ICO (sebbene non in riferimento al problema dei conferimenti nel capitale sociale) si esprime acutamente M. NICOTRA in https://www.blockchain4innovation.it/esperti/ico-initial-coin- offering-ricostruzione-giuridica-del-fenomeno/ 
  18. Si pensi al caso del “Petro”, un criptoasset di stato emesso dal Venezuela, paese ormai caratterizzato dalle drammatiche vicende sociali ed economiche degli ultimi tempi. L’asset in questione, oltre ad essere connotato da forti ambiguità, è legato al valore del petrolio venezuelano e avrebbe pertanto delle caratteristiche più simili ad un ST che ad un SC. Per ulteriori approfondimenti si vedano i numerosi articoli nel web. 
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