Di nuovo anatocismo, ma equo e controllato.

Autore: prof. CARRANO Salvatore
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L’interesse, in una delle sue definizioni più comuni, è inteso come il compenso che spetta a chi presta una somma di denaro per un certo periodo di tempo. Per poterlo calcolare è necessario conoscere l’importo utilizzato, il tasso applicato, il tempo di durata e, qualora uno di questi valori fosse uguale a zero, non ci sarebbe produzione di interesse. Alla scadenza di un contratto di prestito, il creditore ha diritto a riscuotere l’importo ceduto aumentato degli interessi maturati e tale somma congiunta potrebbe essere ancora utilizzata per una nuova operazione di prestito e produrre altri frutti monetari maggiori dei precedenti. Il meccanismo che produce l’incremento degli interessi è la capitalizzazione composta. Questo metodo di conteggio prevede che gli interessi, al termine della durata contrattuale, vengano sommati al capitale, che diventa dapprima montante e poi, nel caso fosse ancora utilizzato come somma da prestare, ritornerebbe capitale iniziale sul quale calcolare i nuovi interessi. È evidente che a parità di tempo contrattuale, più volte avviene la capitalizzazione e più aumenta l’aggravio di interessi per il debitore. Il regime di interessi  composti è chiamato anche anatocismo e questo termine che unisce ἀνἀ «di sopra» e τόχος «interesse», letteralmente significa interessi sugli interessi. L’anatocismo viene spesso associato e confuso con l’usura perché, in caso di numerose capitalizzazioni, e soprattutto con l’applicazione di tassi elevati, gonfia considerevolmente i costi del prestito.

L’uso di un anatocismo particolarmente penalizzante per il debitore è stato a lungo tollerato e l’applicazione della separata capitalizzazione degli interessi dare (trimestralmente) e quelli avere (annualmente), praticata per tanti anni dalle banche, ne è stato l’esempio più tipico. A partire dal 1° gennaio 2014 l’anatocismo è stato abolito in ogni sua forma, espressamente indicando che “degli interessi  non possano produrre altri interessi”. E la sentenza della Corte di Cassazione n. 9127/2015 depositata il 6 maggio del 2015, vietando qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi, compresa quella annuale, ne ha eliminata anche la possibilità di conteggio. Computisticamente, è stata la sconfessione dell’interesse composto.

Dal recente 1 ottobre, la delibera n. 343 del Comitato interministeriale credito e risparmio, reintroduce la capitalizzazione degli interessi su base annuale e, di fatto, ripristina l’anatocismo. Correntisti, mutuatari e debitori in genere, entro 60 giorni dal 31 dicembre sono tenuti a pagare gli interessi maturati nel corso dell’anno precedente sui loro prestiti e se non rispettano l’obbligo, o ritardano nell’adempimento della prestazione dovuta, risultano morosi. In tal caso, il creditore (la banca), applicando alla lettera la normativa contenuta nella citata delibera “gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora”, addebita l’importo in c/c.

I tecnici del Comitato Interministeriale, evidentemente si sono ravveduti sulla “bontà finanziaria” della capitalizzazione composta e, ne hanno disposta la riabilitazione. Trovo che sia stata resa giustizia a un metodo di conteggio degli interessi garantista e neutrale perché “Dal punto di vista economico-finanziario, il regime dell’interesse composto sembra essere quello che garantisce migliori proprietà di equità astratta. In particolare, esclude arbitraggi temporali, cioè la possibilità di realizzare guadagni extra spezzando un’operazione di prestito nella combinazione di due operazioni consecutive di durata globalmente pari a quella dell’operazione originaria”. Il corsivo è tratto dal dizionario di economia e finanza della Treccani e lascia intendere che la capitalizzazione composta è di per sé, come già specificato, equa. Il regime di interessi composti è, oltretutto, trasparente perché consente “al debitore di poter calcolare in qualsiasi momento l’ammontare esatto del suo debito e poter compiere di conseguenza le sue scelte”. Ad esempio, il correntista debitore, a sua scelta e in qualsiasi giorno dell’anno, può versare una somma sul proprio conto corrente per ridurre la base di calcolo sulla quale conteggiare gli interessi.

Inoltre, la recente delibera snellisce l’articolo 1283 del c.c. rendendo superfluo il ricorso alla domanda giudiziale per provare la morosità del debitore. L’obbligo di una sola capitalizzazione per anno, indispensabile per evitare che l’anatocismo metta piede nell’usura, infine, soddisfa il diritto del prestatore a ricevere il compenso per il servizio offerto ed evita, nello stesso tempo, che il debitore possa trovarsi moltiplicato il suo passivo da un incontrollato anatocismo.

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