Banche e inflazione: back to basics – Agosto 2022

di Ivo Invernizzi

Vogliamo proporre al lettore alcune semplici considerazioni intuitive ‘di base’ riguardo l’impatto inflazione sul reddito e sulla misura di capitale economico delle banche.

Senza alcuna pretesa di esaustività, scusandoci coi lettori più senior  per la semplicità di quanto esposto in seguito, occorre tenere nella dovuta considerazione:

  • il fatto che il fenomeno inflazione tanto discusso sulla stampa finanziaria assume connotazioni differenti negli Stati Uniti (8.5% anno su anno prevalente inflazione da domanda o meglio da squilibrio tra domanda superiore e offerta inadeguata alla domanda) rispetto al caso Europa (8.9% su anno inflazione da costi, prevalentemente da materie prime e energia-impatto conflitto russo-ucraino)
  • per combattere l’inflazione con ‘la via monetaria’, le banche centrali inaspriranno la loro politica monetaria prevedendo di aumentare ancora i tassi di interesse nella seconda metà del 2022.
  • ogni banca ha differente struttura di funding e di impiego e differente modello di business- dimensioni (si pensi alle G-SIFI Global Systemically Important Financial Institutions così diverse dalle local banks) e qualità-composizione del proprio portafoglio crediti-investimenti che risentono in modi differenti dell’erosione del potere di acquisto delle divise in cui asset e liabilities sono espressi.

Redditività

Con l’aumento d’inflazione, le banche dovranno intensificare gli sforzi per contenere l’apprezzamento dei costi man mano che cresce la pressione inflazionistica. L’aumento dei tassi di interesse derivante dalla politica monetaria restrittiva (hawkish) sia di Fed sia di BCE che intende combattere tale inflazione, porterà a un ampliamento dei margini di interesse netti (NII Net Interest Income o NIM Net Interest Income)  bancari.

L’impatto sulla redditività bancaria quindi sui margini d’intermediazione:

  • è funzione della reattività (beta) alle variazioni di tasso sia dei tassi passivi sui depositi sia dei tassi attivi sui crediti
  • risente di un divario temporale (gap) tra le variazioni dell’inflazione e l’impatto positivo a conto economico, perché le banche impiegano qualche tempo sia per rivalutare i propri prestiti e depositi sia per modificarne il pricing alla clientela in un tempo successivo ai rialzi dei tassi ufficiali di riferimento.

Tuttavia, alcune eccezioni al binomio rialzo tassi ufficiali – aumento della redditività da intermediazione finanziaria sono indotte:

  • dall’intensa concorrenza tra banche per ‘ottenere’ depositi che le forzano al pricing competitivo
  • dalla minor o maggior dipendenza dal mercato interbancario per il funding in alternativa al funding mediante raccolta retail
  • dai requisiti normativi, che in taluni paesi ‘calmierano’ i tassi medi attivi applicati ai crediti

Si ricordi inoltre il forte impatto negativo d’inflazione sui costi vivi bancari, in particolare sui costi del personale, sul costo dell’energia utilizzata dalle infrastrutture IT, sui costi amministrativi. Si noti inoltre la difficoltà  di rivalutare il pricing delle commissioni per servizi bancari tradizionali e d’investimento. Infine, inflazione può anche voler dire indicizzazione degli accantonamenti (LLP o Loan Loss Provisions) agli incrementi generalizzati di prezzi.

Investimenti e funding

In caso di rialzo dei tassi ufficiali in replica all’inflazione, beneficeranno principalmente le banche retail con stati patrimoniali caratterizzati da quote maggiori di depositi in conti correnti e di risparmio (Current Account & Savings Account) sul totale dei depositi e, per quanto attiene la loro struttura finanziaria, caratterizzate da una struttura delle fonti  con percentuali modeste di funding di mercato (emissioni di bond destinati a investitori istituzionali e mercato wholesale interbancario), nei mix di finanziamento totale rispetto alla più economica raccolta retail. Infine, l’inflazione penalizza le valutazioni degli investimenti in attività finanziarie (tipicamente alcuni attivi finanziari in bond) con strutture a tasso fisso e non inflation protected.

 Asset Quality

È indubbio che, i rischi patrimoniali per le banche aumentano se i tassi di interesse aumentano: intuitivamente alzando i tassi, si alza il costo del funding per la clientela bancaria corporate e retail e, per ovvie ragioni, specialmente nel caso della clientela meno solvibile, si alza la PD (probability of default) dunque ’ last but not least’ le posizioni creditizie deteriorate (NPL) o di difficile esigibilità (UTP). In sintesi, nel mondo occidentale un’accelerazione d’inflazione ha comportato l’aumento delle posizioni  non performanti, perché l’inflazione si traduce in genere in un rallentamento economico, con conseguenti rialzi dei tassi di interesse che aumentano gli oneri di rimborso del debito per i mutuatari. Si noti che, prestiti al dettaglio non garantiti  (unsecured) e i prestiti alle piccole e medie imprese (SME – Small Medium Enterprises), che alla fine 2021 costituivano la maggior parte dello stock di crediti ristrutturati di molte banche commerciali europee, saranno le principali fonti di rischio patrimoniale per le aziende di credito. I debitori mutuatari di tali crediti sono i più vulnerabili agli shock macroeconomici. Del resto, già dal 2020, le capacità di rimborso del debito della clientela erano indebolite a causa della pandemia.

Domanda di credito

Un’accelerazione dell’inflazione e il corrispondente aumento dei tassi possono anche danneggiare la domanda di credito, limitando la capacità-forza contrattuale  delle banche di aumentare i crediti a tassi di interesse più elevati. Inoltre,  come già indicato sopra, un aumento dell’inflazione porta ad aumenti del  costo del personale e di altri costi operativi per le banche.

Relazioni tra paesi Emergenti e politica monetaria Fed

In molte economie emergenti (quelle sud americane ad esempio) una serie di rialzi futuri dei tassi da parte della Federal Reserve (‘higher for longer rates’ recentemente annunciati da Jerome Powell a Jackson Hole) , in particolare da settembre a dicembre 2022, si aggiunge alla pressione inflazionistica sui prezzi all’importazione dagli Stati Uniti di prodotti finiti in tali paesi, tipicamente paesi produttori e esportatori di materie prime, indebolendo le divise locali ed esacerbando anche i deflussi di capitali  da essi e mettendo  a dura prova i rispettivi sistemi bancari.

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