L’impatto sulle banche europee della crisi russo-ucraina – Aprile 2022

di Ivo Invernizzi

       In questi giorni sulla stampa economica si è trattato molto dell’effetto sulle banche dell’intervento militare russo in Ucraina. Cosa accadrebbe se le banche europee decidessero – o fossero costrette – a chiudere le proprie filiali e sussidiarie in Russia? Sappiamo che prestigiosi marchi del banking europeo hanno sia esposizioni dirette sia indirette alla Russia, sia mediante filiali locali sia crediti transfrontalieri ottenuti dalla loro società madre. Senza pretesa alcuna di esaustività, facciamo un po’ di chiarezza sul tema, evidenziando alcuni (non tutti) punti di attenzione.

     1.Variabili macroeconomiche

   Se è  vero che l’inflazione galoppante ha impresso alla BCE una maggior spinta propulsiva su eventuali futuri rialzi di tassi, che forse darebbero maggior ossigeno alle banche europee in termini di margini d’interesse, l’invasione russa dell’Ucraina ha importanti implicazioni negative per la crescita economica, la politica monetaria e i mercati finanziari in Europa. Premettiamo che, nonostante Putin abbia richiesto all’Europa il pagamento del gas russo in rubli, la Russia per il momento continuerà a adempiere ai contratti in sospeso di forniture di gas. Gli esperti parlano tuttavia di ‘War Spillover’, cioè di espansione ‘a macchia d’olio’ degli effetti negativi del conflitto ai paesi limitrofi dell’ex cortina di ferro e all’Europa. Un primo effetto negativo potrebbe essere l’incremento del ‘cost of risk’ (COR) per le banche. In tal senso, gli effetti macroeconomici di secondo livello della guerra in Russia, comprese la revisione rispettivamente a rialzo dell’inflazione e a ribasso della crescita del PIL, penalizzeranno il calcolo delle perdite su crediti attese per le banche europee secondo l’IFRS9. Gli accantonamenti rifletteranno il maggiore rischio di credito per le banche europee centrali e orientali, soprattutto per quegli istituti di credito con alta esposizione ‘diretta’, cioè costituita da finanziamenti diretti ad aziende con sede legale in Russia e Ucraina. È molto probabile che l’accelerazione dell’inflazione dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia a livello globale, implichi ulteriori distorsioni nella catena di approvvigionamento per le imprese clienti e che l’indebolimento della fiducia di consumatori e investitori facciano salire i costi di produzione per le imprese con riflessi  importanti sulle banche. Tuttavia, gli esperti non attendono che la guerra comporti una ricaduta diretta sugli stock di Non Performing Loans delle banche europee, così devastante come quella registrata all’indomani della pandemia nel 2020.

      2. Esposizioni bancarie ‘dirette’

     Premettiamo che, nel caso di tre prestigiosi marchi bancari europei la cui esposizione diretta (cioè in crediti verso aziende con sede legale in Russia) in valore assoluto è alta perché intrattengono operazioni sostanziali in Russia, la loro esposizione in termini relativi (cioè in percentuale rispetto al totale di bilancio consolidato di gruppo) è comunque ridotta, il che significa che le potenziali perdite sarebbero facilmente assorbite. Si tratta di prestiti transfrontalieri verso società appartenenti al segmento oil e gas e delle materie erogati direttamente dalle rispettive case madri o dalle loro full branch con sede al di fuori della Russia. Molti di questi crediti riguardano attività di Corporate & Investment Banking (CIB) . Sui tali prestiti transfrontalieri sono probabili alte perdite sui crediti. Secondo i dati forniti dalla Bank of International Settlements (BIS), le banche in Francia hanno la maggiore esposizione nominale diretta alla Russia, con 23,6 miliardi di dollari, seguite dalle banche in Italia e Austria. L’esposizione combinata delle banche statunitensi è di 14,5 miliardi di dollari. Se il conflitto si estendesse ai paesi baltici o alla CEE, anche le banche in queste regioni potrebbero risentirne negativamente. A livello di sistema, la BIS segnala circa 97 miliardi di euro di esposizione consolidata delle banche europee verso residenti russi. All’interno di tale importo, le esposizioni sono sostanzialmente equamente ripartite tra posizioni locali e internazionali, con i valori complessivamente più elevati in Austria, Italia e Francia. I derivati e le garanzie sono circa il 30% dell’importo e le esposizioni verso banca centrale e governo russi un altro 17%.

      3. Esposizioni bancarie ‘indirette’

   L’attacco della Russia all’Ucraina e le conseguenti sanzioni economiche hanno già avuto un impatto sulle banche europee in diversi modi, molti dei quali indiretti. Se ci concentriamo sulle cosiddette ‘esposizioni creditizie indirette’, cioè i crediti erogati a favore di aziende industriali e di servizi che operano o direttamente o per il tramite di controllate in Russia o di aziende europee che esportano molto verso la Russia, spicca nel news flow l’annuncio  di British Petroleum che abbandonerà la sua partecipazione del 19,75% in Rosneft e tutte le joint venture dirette con l’impresa statale russa e l’annuncio del leader di settore oil Shell, che uscirà da tutte le partnership azionarie con Gazprom. Tali news  hanno acceso i riflettori sulle banche europee che gestiscono  filiali o sussidiarie in Russia. Come dichiarava Andrea Enria, presidente dell’EBA il 31 marzo 2022: ‘Seppure l’esposizione diretta delle banche europee (verso Russia e Ucraina) sia minore, gli effetti indiretti potrebbero tradursi in esposizioni bancarie concentrate verso settori o clienti individuali colpiti dalle sanzioni, a causa dell’impennata e della volatiità nei mercati dell’energia e delle commodity e per il tramite del deterioramento generale dell’outlook macroeconomico nell’Unione Europea’.

     4. Il ritiro (eventuale) da Russia e Ucraina delle filiali e/o sussidiarie di banche europee

  Per quei marchi bancari europei che, oltre ad aver erogato crediti verso aziende russe, hanno consistenti investimenti in filiali in loco, o in sussidiarie dotate di autonomia patrimoniale,  un’uscita totale dalla Russia avrebbe un impatto maggiore sui loro coefficienti patrimoniali consolidati (si veda il CET1 ratio)e sul loro buffer di capitale MDA (Maximum Distributable Amount) ovvero sui massimi dividendi distribuibili. Del resto, alcune banche europee hanno annunciato in specifici comunicati ufficiali che, nonostante l’esposizione su sussidiarie russe, le rispettive case madri europee sarebbero in grado di assorbire eventuali perdite, comprese le svalutazioni (impairment) se fossero forzate a uscire dalle loro attività russe, senza per questo violare i requisiti patrimoniali minimi richiesti dalle Autorità di Vigilanza. Ricordiamo che, ad esempio, per una banca leader europea, la dismissione di una banca sussidiaria in Russia che impiega migliaia di dipendenti e serve numerose aziende sia locali sia europee mediante crediti transfrontalieri, potrebbe comportare uno shock patrimoniale-reddituale imponente per le rispettive capogruppo. Pertanto, la chiusura di una controllata russa non è certo gestibile dall’oggi al domani. Tuttavia, alcune grandi banche europee dotate di filiali russe, hanno fatto sapere che tali filiali sono in gran parte autofinanziate, quindi si tratta di  entità separate e dotate di autonomia patrimoniale. Gli esperti sostengono  che le loro case madri europee sarebbero riluttanti a fornire loro supporto di capitale o liquidità, in caso di allontanamento definitivo dalla Russia. Le due principali conseguenze a livello consolidato sarebbero:

  • una svalutazione della partecipazione della capogruppo e degli eventuali finanziamenti infragruppo (negativa per i coefficienti patrimoniali)
  • il deconsolidamento delle rispettive attività ponderate per il rischio (RWA) della controllata russa (positiva per i coefficienti patrimoniali).

 assumiamo che gli RWA (Risk Weighted Asset) attribuibili a queste controllate equivalgano ai prestiti transfrontalieri. Non è infine  irrilevante per alcune sussidiarie  l’investimento in obbligazioni sovrane russe, la cui volatilità ne ha penalizzato le quotazioni sui mercati. In sintesi, nel caso delle sussidiarie possiamo identificare 4 origini di rischi:

  1. rischi da finanziamenti infragruppo dalla casa madre.
  2. volatilità  del patrimonio netto della sussidiaria (se autonoma).
  3. I crediti diretti erogati dalla sussidiaria ad aziende locali
  4. Eventuali attivi finanziari in obbligazioni governative russe.

A complicare le cose, si è aggiunto il forte deprezzamento del rublo rispetto all’euro registrato dalla fine del 2021 ad oggi.  Il patrimonio netto e la maggior parte delle attività di queste controllate russe a Bilancio sono denominati in rubli, quindi l’effetto principale sarà sui movimenti di conversione della divisa estera per le banche madri, che redigono i loro Bilanci consolidati esprimendoli in euro (translation effect). Esse rilevano a Bilancio riserve di conversione (in questo caso negative) in valuta estera che vengono aggiunte o detratte dal patrimonio netto nella voce ‘altri utili complessivi’ (Other Comprehensive Income) e hanno coperture rischi in valuta estera che non sono sempre divulgate.

      5. Filiali europee di Banche Russe e sistemi di garanzia dei depositi

     È ben nota nella cronaca l’esclusione dal sistema di pagamenti Swift di alcuni importanti marchi bancari russi disposta dai paesi occidentali. Per uno tra essi, il rischio di default delle rispettive sussidiarie europee originato dalle sanzioni non è remoto. L’agenzia di stampa Reuters in marzo aveva pubblicato un articolo in cui si paventava l’ipotesi che le autorità di regolamentazione bancaria tedesche si stessero preparando per una probabile chiusura entro pochi giorni del braccio tedesco della seconda banca russa. Inoltre, Bloomberg aveva pubblicato un articolo il 7 marzo 2022, indicando che le autorità tedesche stavano cercando una soluzione che evitasse l’attivazione automatica dei pagamenti ai clienti, pur continuando a prepararsi per una potenziale liquidazione delle operazioni europee di tale banca, che è domiciliata a Francoforte e soggetta alla vigilanza bancaria sia della BCE sia della BaFin, l’autorità di vigilanza finanziaria tedesca. La controllata europea (tedesca) del citato gruppo bancario russo, è membro del sistema di garanzia unico dei depositi tedesco, l’Entschädigungseinrichtung Deutscher e  anche del sistema di assicurazione integrativa volontaria gestito dall’associazione delle banche tedesche, l’Einlagensicherungsfonds des Bundesverbandes deutscher Banken, che potrebbe implicare una copertura fino a 169 milioni di euro per depositi, basata su fondi propri di 1,12 miliardi di euro. Nel caso della controllata austriaca di un altro importante marchio bancario russo, il Single Resolution Board ha indicato che non fosse necessaria alcuna azione di risoluzione, ma forse sarebbe stata al contrario avviata una procedura di insolvenza ai sensi del diritto austriaco. Il divieto ufficiale per tale banca di continuare l’attività bancaria in Europa era un ‘trigger’ che avrebbe attivato legalmente l’evento di pagamento per il sistema di garanzia dei depositi  austriaco, che sarebbe stato tenuto a versare depositi ammissibili fino a 100.000 euro. In sintesi, un altro potenziale impatto negativo della crisi russo-ucraina sulle banche europee è sotto forma di pagamenti più elevati dalle banche ai sistemi di garanzia dei depositi  di alcuni  Stati membri dell’UE in cui tali banche russe hanno le loro rispettive controllate europee. Il caso della sussidiaria austriaca di una nota banca russa ha già portato a un evento di pagamento della garanzia dei depositi, che potrebbe comportare un onere aggiuntivo in commissioni di garanzia dei depositi più elevate per tutte le altre banche austriache aderenti al sistema. Questi eventi, precedono il previsto aggiornamento del quadro europeo di gestione delle crisi e di assicurazione dei depositi entro la fine dell’anno, in occasione del quale verrà presentato il ‘rulebook’ per le insolvenze bancarie nell’Unione Europea.  

             6. Utili, ROE, profittabilità

        Per ovvie ragioni, è superfluo ricordare che, nel lungo termine gli utili delle banche europee maggiormente esposte verso Russia e Ucraina sarebbero penalizzati dalla perdita di ‘affari russi’ per due ordini principali di ragioni:

  • aumento degli accantonamenti per perdite su crediti (LLP o Loan Loss Provision).
  • Peggioramento dell’Asset Quality degli asset detenuti in Russia

. Tale impatto tuttavia, sarebbe marginale in termini relativi per i due principali marchi bancari europei coinvolti, ovvero nell’ordine di circa il 2%-3% dell’utile consolidato ante imposte 2021, ma maggiore per il terzo marchio, ovvero nell’ordine del 33% dell’utile ante imposte del 2021. Il vero rischio è che la guerra russa si protragga troppo a lungo, il che potrebbe far aumentare gli accantonamenti per perdite su crediti delle banche CEE. Alcuni esperti ipotizzano che, per alcune banche molto esposte, il loro ROE nel 2022 potrebbe ridursi fino a 100 basis point e tale riduzione sarebbe imputabile a un aumento di 10 basis points del costo del rischio. In aggiunta, alcune  analisi di sensitività suggeriscono che, per le maggiori banche europee esposte verso Russia e Ucraina, ogni aumento di 10 basis points del costo del rischio (COR o Cost of Risk) potrebbe ridurre l’utile ante imposte (PBT  Profit Before Taxes) tra il 3-4% e il 7-8% rendendo gli utili di tali banche più sensibili al deterioramento della qualità dei loro asset in Russia. Nel caso di un noto marchio bancario europeo particolarmente colpito, un aumento di quasi dieci volte degli accantonamenti per perdite su crediti che si attesterebbero a 1 miliardo di euro nel segmento dell’Europa orientale all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina rappresenterebbe numericamente l’entità assoluta dei danni causati dalla guerra. 

         7. Impatto sul capitale

        Alcuni analisti ritengono che l’impatto del conflitto sul capitale delle banche europee più esposte causato da un’eventuale uscita totale dalla Russia sarebbe lieve a livello consolidato. Dopo aver sottoposto a stress test le esposizioni dirette e indirette alla Russia, gli esperti ritengono che le perdite di Common Equity Tier 1 siano gestibili. Le esposizioni agli stress test portano a perdite di CET1 comprese tra 10 e 150 basis points. Al fine di contestualizzare la perdita di capitalizzazione di mercato da metà febbraio, cioè all’indomani del conflitto, gli esperti hanno sottoposto a test di stress una serie di scenari teorici ipotizzando la chiusura delle rispettive local entity, che comportasse sia la perdita ‘onshore del valore di capitale azionario sia l’azzeramento del finanziamento infragruppo concesso dalla casa madre alle filiali russe, sia perdite dovute a scarti di garanzia nell’ordine dello 0-60% rispetto al valore nominale dei crediti transfrontalieri (esposizioni ‘offshore’), tenendo in considerazione tuttavia il beneficio dovuto allo scudo fiscale del 20% ottenuto sulle perdite derivanti dai crediti cancellati. Si tratta tuttavia di calcoli di sensitività puramente teorici i cui risultati sono diversi da quelle che potrebbero essere le perdite effettive. Nel complesso, gli esperti ritengono che, in termini di capitale, le perdite dovrebbero essere gestibili.  In ogni caso, le banche europee maggiormente ‘esposte’ verso Russia e Ucraina hanno registrato un CET1 ratio adeguato e capiente nell’anno fiscale 2021, pertanto dispongono di un robusto buffer di capitale, ben al di sopra del requisito patrimoniale minimo di vigilanza.

 

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