Banche e inflazione: che fare? – Giugno 2022
di Ivo Invernizzi
1 Lo scenario macroeconomico
La retorica di elevata inflazione alla quale assistiamo nella stampa finanziaria in questi giorni ha plasmato le dinamiche di mercato, creando evidenti timori presso gli investitori. Il prolungato aumento dei prezzi, ha implicato una revisione progressiva delle aspettative d’inflazione, ovvero della percezione del fenomeno inflattivo da parte di consumatori e investitori. Del resto, l’inflazione è ora intorno al suo picco negli Stati Uniti (ultima lettura 8.26% anno su anno) ben affiancata dall’ultimo dato di maggio sull’incremento anno su anno dei prezzi europeo (8.10%). Inoltre, si è assistito all’evidente repricing a rialzo dei breakeven d’inflazione, cioè dei tassi d’inflazione che rendono indifferente investire in una obbligazione che protegge il risparmiatore dall’inflazione (linker) o in una identica obbligazione ‘normale’ di identica scadenza e qualità creditizia rispetto al bond inflation protected.
Alcuni economisti, avvertono che parlare ora d’inflazione unita a recessione potrebbe essere audace e prematuro, soprattutto perché occorre distinguere all’interno del generalizzato fenomeno d’aumento dei prezzi due componenti differenti:
- Una componente ‘fisiologica’ da aumento dei costi e da domanda, che colpisce prevalentemente prodotti e servizi a basso contenuto tecnologico (seppure in modalità differenti negli States e in area euro in presenza di fondamentali economici diversi) da definirsi ‘negativa e ineludibile’
- Una componente ‘innovazione’ che influisce molto sul prezzo dei prodotti e servizi ad alto contenuto di tecnologie innovative da definirsi ‘positiva e auspicabile’.
In termini teorici, qualora si ipotizzi che il PIL nominale cresca più rapidamente in uno scenario d’inflazione elevata rispetto alle prospettive di consenso di inflazione e tassi di interesse relativamente stabili, anche la crescita del credito bancario sarebbe proporzionalmente più intensa se l’inflazione fosse più elevata. Peraltro, nelle condizioni congiunturali attuali, siamo in presenza di due condizioni opposte alle su citate ovvero:
- Tassi d’interesse non stabili e in aumento.
- Possibile futura crescita reale (crescita nominale – inflazione) negativa del PIL.
È un dato di fatto che, al momento, pur essendo un fenomeno preoccupante, la forte inflazione non si è ancora rivelata una minaccia reale ai bilanci bancari nel breve termine. Tuttavia, tassi d’interesse più elevati per un intervallo temporale prolunguato, per ovvii motivi danneggerebbero l’economia reale e i futuri volumi di credito.
Partendo dalla tesi in base alla quale le banche sono grandi fruitrici di tecnologie, i costi della digitalizzazione e delle tecnologie avanzate, il costo del personale, l’evoluzione attesa di tassi attivi e passivi, sono elementi chiave del loro conto economico influenzati dall’effetto inflazione.
L’obiettivo del presente lavoro è cercare, certamente in modo non esaustivo, di interpretare alcuni dei driver d’impatto dell’aumento dei prezzi sulla futura redditività delle banche.
2 Le Banche Centrali
Le banche centrali hanno convinto i mercati che saranno inflessibili nella lotta all’inflazione a tutti i costi . Se analizziamo da vicino la policy di comunicazione adottata dalla Fed da inizio 2022, si nota un picco nell’atteggiamento ‘hawkish’, incentrato sull’inflazione. Il ciclo d’inasprimento dei tassi e di progressiva riduzione di bilancio della Fed (Quantitative Tightening) è iniziato solo pochi mesi fa e i tassi ufficiali sono ancora lontani dal tasso di neutralità (ovvero il tasso di interesse reale che sostiene l’economia alla piena occupazione-produzione mantenendo costante l’inflazione) che, nel caso degli States, si colloca sopra l’obiettivo target inflazione di lungo termine 2%.
- Se spostiamo il nostro focus all’impatto sui bilanci delle banche americane della politica monetaria espansiva della Fed adottata fino al 2021 a contrasto della pandemia, i massicci acquisti di asset obbligazionari (Quantitative Easing) sul mercato hanno rafforzato i depositi bancari, così come le riserve e la liquidità bancaria. Se dovesse persistere un’inflazione più elevata, la Fed probabilmente porrà fine del tutto al suo programma di acquisto di asset, sostenendo comunque i margini d’interesse bancari (NIM Net Interest Margin, o NII Net Interest Income), poiché le riserve a basso margine e le attività di cassa presso le banche si ridurranno progressivamente. Al momento il fenomeno non ha ancora assunto contorni delineabili con precisione, o implicato un repricing completo degli impieghi. Per ovvii motivi, quando anche i tassi sui depositi della clientela inizieranno a salire, il ritmo di incremento del NII si ridurrà progressivamente.
- Oltreoceano, i tassi ufficiali BCE sono ancora ai minimi storici e ostinatamente negativi; un primo rialzo sarà probabilmente annunciato a luglio e uno successivo in autunno, gli esperti sono divisi sull’entità totale dei rialzi nel 2022. Il beneficio bancario in termini di NII sarà funzione della reattività nel pricing degli impieghi (beta dei crediti) e dei depositi (beta della raccolta) con modalità e tempi differenti variabili da banca a banca.
Per dovere di completezza ricordiamo che, dopo il rialzo di maggio, il tasso sui Fed Fund si attesta ora nell’intervallo 1.75%-2%. In area euro, il tasso ufficiale sui depositi è tuttora negativo e fermo a -0.50% da settembre 2019.
In conclusione, se la lotta all’inflazione elevata permane l’obiettivo principale della retorica di politica monetaria hawkish sia di Powell sia di Lagarde, l’innegabile paradosso è osservare banche centrali essere criticate, perché sembrano intervenire mediante rialzi (hikes) a parere di alcuni troppo tardivi e troppo poco incisivi (behind the curve). Le banche centrali stesse, ci avvertono con un monito sui rischi di recessione derivanti dai loro interventi.
3 I tassi d’interesse
Se negli States inflazione si traduce reazione delle banche centrali con aumenti dei tassi, in Europa, con gli imminenti rialzi, le banche commerciali potrebbero affrontare rischi di credito più elevati, date le crescenti esposizioni alle vulnerabilità nel settore non finanziario negli ultimi anni, con evidente incremento delle posizioni crediti deteriorate in NPL o UTP(Unlikely To Pay). Si aggiunga che, i tassi sui depositi rimarrebbero probabilmente più a lungo prossimi ai minimi storici attuali. Gli esperti sostengono che i tassi sui depositi si adegueranno al rialzo dei tassi di interesse di mercato solo in un momento successivo, quindi a sostegno di NII più elevati nel breve termine. L’eventuale aumento dei tassi sui depositi si verificherebbe solo quando la forte crescita del PIL nominale spingesse verso il rialzo confermato nella domanda di crediti, determinando un aumento del rapporto tra crediti e depositi. Ma purtroppo, la forte crescita del PIL non è contemplata negli scenari attesi.
Di conseguenza, molte istituzioni bancarie finiranno per subire pressioni per aumentare i tassi sui depositi al fine di mantenere e attrarre un funding stabile dai conti correnti della clientela retail. E ancora, potrebbe trascorrere un periodo di tempo significativo prima che i tassi sui depositi inizino a salire, poiché l’aumento del rapporto tra prestiti e depositi partirebbe da un punto di minimo storico. Se per ovvii motivi, tassi più alti costituiscono in genere un boost per il margine d’interesse delle banche, potremmo assistere a un fenomeno depressivo sull’economia reale, se essi aumentassero troppo.
Diamo alcune brevi (e non esaustive) indicazioni quantitative sul pricing del credito nei due continenti:
- negli States, in concomitanza all’impennata d’inflazione, I tassi attivi applicati ai mutui ipotecari sono aumentati vertiginosamente, con il tasso d’interesse medio sul mutuo per la casa statunitense più popolare salito a oltre il 5% nella prima settimana di aprile 2022, il livello più alto mai toccato da novembre 2018.
- In Europa, se osserviamo a campione il pricing di alcuni mutui a tasso fisso per lavori di manutenzione straordinaria proposti da noti marchi bancari nostrani, l’introduzione di uno spread aggiuntivo applicato al tasso eurirs (interest rate swap variabile di mercato, notoriamente in evoluzione a rialzo in questi tempi) intorno al 2-3%, comporta un costo totale per interessi intorno al 5% per mutui decennali a tasso fisso.
4 La profittabilità bancaria in generale
In Europa, anche a seguito della ripresa dalla depressione pandemica, dopo una notevole ripartenza della redditività bancaria nel 2021, le proiezioni per il 2022 sono state riviste al ribasso a causa dell’aumento dei rischi di credito, certamente riconducibili in parte ma non del tutto all’inflazione. La redditività delle banche europee ha superato i livelli pre-pandemia nel 2021, trainata da maggiori proventi operativi e minori accantonamenti per perdite su crediti (a fronte degli accantonamenti fortemente prudenziali applicati nel 2020), ma le prospettive di redditività sono peggiorate in linea con un contesto macroeconomico più debole. La profittabilità bancaria è rimasta solida anche all’inizio del 2022, come testimoniato da alcune robuste trimestrali bancarie nostrane, che peraltro non scontano ancora appieno l’urto inflattivo della guerra. Si noti che:
- In Europa gli analisti hanno rivisto al ribasso le loro previsioni sui rendimenti medi dei mezzi propri (ROE bancari o Return on Equity) per il 2022 a circa il 7%, un livello questo ancora basso rispetto agli standard internazionali. Il contesto di tassi di interesse più elevati e una curva dei rendimenti non traslata totalmente a rialzo, ma più ripida (in gergo ‘steep’ ovvero con marcati rialzi sul tratto lungo della curva rispetto al tratto breve) sosterranno meccanicamente la redditività bancaria da interessi, ma per le banche il funding a condizioni convenienti di attività finanziarie sicure e a basso rendimento (si vedano gli investimenti in titoli governativi ‘core’ come i Bund con rendimenti irrisori o talvolta negativi) potrebbe diventare difficile nel medio termine. Infine, le banche dell’area dell’euro mostrano resilienza, ma le prospettive di redditività peggiorano quando riaffiorano i timori sulla qualità degli attivi.
- Negli USA, caratterizzati da fondamentali economici molto più robusti rispetto all’Europa, se il recente aumento dell’inflazione dovesse rivelarsi persistente, i profitti delle banche dovrebbero risentirne molto meno rispetto alle ‘cugine’ europee.
Nel complesso, l’aspettativa degli esperti è che, in presenza di crescita, sia gli effetti dell’aumento dell’inflazione sul PIL nominale sia sui profitti delle banche sarebbero positivi, fenomeno questo che potrebbe protrarsi anche al 2023. Da quell’anno in poi, la crescita degli utili delle banche inizierebbe a ridursi al di sotto di quella implicita nell’inflazione attesa. E’ possibile delineare due considerazioni intuitive:
- Secondo alcuni analisti, i profitti delle banche trarrebbero vantaggio dal fenomeno aumento prezzi, qualora l’aumento dell’inflazione persistesse, perché le banche trattano strumenti finanziari a rendimento nominale, non epurato per il costo d’inflazione. Un’espansione più rapida dell’inflazione e del PIL nominale in genere alimenta una crescita più forte del credito, dei volumi di impiego e delle revenues bancarie.
- Tuttavia, in termini di quozienti di redditività, un’inflazione elevata avrebbe un’influenza molto meno positiva sul rendimento delle attività (ROA o Return on Assets) e sul rendimento netto dei mezzi propri (ROE) rispetto all’effetto positivo sul valore assoluto degli utili netti, poiché l’inflazione influenzerebbe sia il numeratore (utile netto nel ROE, reddito operativo nel caso ROA) sia il denominatore (assets totali nel caso del quoziente ROA o mezzi propri nel caso del quoziente ROE) di questi rapporti in misura simile.
5 Il Margine d’interesse
Focalizziamoci ora sui margini d’interesse (NII). Uno steepening (irripidimento) della curva dei rendimenti accompagnato al fenomeno inflattivo, sarebbe positivo per i profitti della maggior parte delle banche. I margini di interesse netti (NII) aumenterebbero a causa di un probabile miglior impatto sul rendimento degli impieghi (maggior reattività a breve termine nel pricing dei crediti o beta) rispetto alla minor reattività immediata nel costo della raccolta diretta da depositi (beta dei depositi). Le piccole banche registrerebbero un aumento dei profitti inferiore rispetto alle grandi istituzioni finanziarie, perché le seconde sono più sensibili agli shock della struttura a termine dei tassi di interesse, che, se più elevati si riverberano in una crescita del NII. In tal senso, gli esperti ipotizzano che, nelle fasi di picco inflattivo, gli NII delle banche più piccole verrebbero probabilmente potenziati in misura inferiore rispetto al caso nelle banche più grandi, sia a causa di una miglior forza contrattuale di repricing del portafoglio crediti dei big player nei riguardi della clientela corporate, sia in forza di evidenti economie di scala. Gli NII delle piccole banche mostrano in genere una maggiore sensibilità all’appiattimento della curva dei rendimenti rispetto a quelli degli istituti più grandi. Evidenziamo alcuni punti di attenzione:
- A livello di sistema bancario americano, è probabile che gli NII aumentino in uno scenario ipotetico di inflazione più elevata rispetto alle aspettative, con tassi di interesse in aumento. Tale beneficio in termini di NII è simile al comportamento registrato dagli NII delle banche americane durante il più recente ciclo di inasprimento della Federal Reserve osservato nell’intervallo 2015-2019.
- Al contrario, secondo altri studi, nei cicli di tightening monetario del 1993-95, 1999-2000 e 2004-2006, gli NII sono diminuiti quando i tassi di interesse sono aumentati, poiché le banche sono state costrette a offrire ai loro depositanti più aumenti dei passivi tassi sulla raccolta rispetto agli incrementi introdotti dalla Federal Reserve.
- Se gli odierni scenari di probabile stagflazione dovessero indesideratamente concretizzarsi, almeno nelle prime fasi di rallentamento del PIL, gli NII bancari potrebbero continuare a incrementarsi, ma a un tasso decrescente.
- In Europa, un aumento dei tassi di interesse può fornire sostegno ai margini bancari nel breve periodo, ma alcune banche potrebbero dover affrontare dure sfide in termini di peggioramento di qualità degli asset, quindi innescando aumenti di accantonamenti per perdite su crediti (LLP) cessioni di pacchetti di NPL in ottica di derisking, nel medio periodo.
Non dimentichiamo infine che, l’aumento dei tassi comporta una svalutazione (effetto valore) dei titoli obbligazionari presenti ad attivo finanziario delle banche superiore all’effetto reinvestimento, di rimborsi e cedole obbligazionari a tassi superiori, con conseguente penalizzazione delle ‘riserve’ cumulate sul portafoglio titoli ‘statico’ della banca, talvolta non adeguatamente controbilanciata dall’aumento dei margini d’interesse (cedole – costo del funding) ottenibili dal portafoglio obbligazionario, sottoscrivendo o acquistando sui mercati bond di nuova emissione caratterizzati da cedole (e rendimenti) superiori, in una fase di rialzo dei tassi di mercato.
6 I ricavi diversi da interessi attivi sugli impieghi
La crescita tendenziale dei redditi diversi e non derivanti da margine d’interesse per le banche è guidata in larga misura dalla crescita del PIL nominale (tasso d’incremento del PIL reale + tasso d’inflazione). Sebbene ci si aspetterebbe che una crescita del PIL nominale più forte aumenti il reddito non da interessi (tipicamente le commissioni bancarie e le commissioni da investimento o da asset management) in uno scenario di inflazione elevata, la relazione è più debole rispetto ad altre componenti dei profitti bancari. Una delle ragioni di tal più debole relazione è la struttura della categoria generale delle componenti di reddito “altri” redditi da interessi. Tale categoria non ha alcuna relazione chiara di proporzionalità diretta con le variazioni delle principali componenti del PIL. Inoltre, l’importanza relativa delle componenti degli “altri” redditi diversi da interessi tra le componenti positive di reddito della banca, evolve nel tempo. Al contrario, il PIL nominale ha un’influenza diretta sostanziale sui ricavi delle attività fiduciarie svolte dalle banche, sui ricavi commerciali e su categorie definite aggiuntive di reddito non da interessi. In sintesi, l’effetto inflattivo sulle voci di redditi bancari diversi da interessi, non è chiaro e univoco ma va analizzato distintamente perché opera con dinamiche differenti su ciascuna delle voci di ‘redditi diversi’. Certamente, si nota un’evidente elasticità nelle variazioni dirette di pricing al variare dell’inflazione di una delle principali fonti di redditività bancaria, ovvero le commissioni da servizi bancari tradizionali, che hanno rappresentato una componente trainante dei conti economici 2021 e delle trimestrali 2022 delle aziende di credito europee.
7 I costi diversi da interessi passivi sulla raccolta
Storicamente, l’aumento dell’inflazione ha teso a far aumentare il rapporto tra le spese diverse interessi passivi (tipicamente la voce costo del personale è la più incidente) e le entrate bancarie, riducendo i profitti. Tuttavia, nella congiuntura attuale, potremmo assistere a un fenomeno differente. L’inflazione esercita pressioni al rialzo sulle spese generali delle banche, in particolare sui salari. Da un lato, se osserviamo con attenzione l’evoluzione 2020-2022 del costo del lavoro negli States, il ritmo d’aumento della retribuzione oraria media sia dei dipendenti statunitensi in generale, sia di quelli bancari ha continuato a essere superiore a quello dell’inflazione. Una maggiore ‘sindacalizzazione’ della forza lavoro, ha rafforzato la crescita di salari e stipendi anche in settori di servizi che non erano fortemente sindacalizzati come quello bancario. D’altro lato, come risultato della globalizzazione, con tassi di sindacalizzazione più bassi e modelli di business bancari ‘digitali’ a minore intensità di manodopera fisica, i salari e le spese totali non per interessi potrebbero non aumentare così rapidamente rispetto all’inflazione e alle entrate bancarie nel triennio 2022-2024 come avveniva in passato. L’effetto inflazione d’aumento sui costi di tecnologie e personale ci porta a evincere un possibile peggioramento generalizzato dell’indicatore principe di efficienza bancaria indotto da inflazione, il cost / income ratio, purtuttavia ricordando che, gli investimenti ad alto contenuto tecnologico nel caso dell’industria finanziaria consentono maggior efficienza e riduzione nel costo del personale.
8 L’asset quality del portafoglio crediti
Secondo alcuni esperti, l’incremento dei rischi di credito per le banche statunitensi derivanti da un aumento non permanente dell’inflazione sarebbe limitato, ma l’inflazione prolungata, persistente e significativa, potrebbe comportare rischi più elevati d’insolvenza della clientela bancaria, che storicamente hanno coinciso con utili relativamente più deboli e maggiori perdite su crediti (e maggiori accantonamenti o Loan Loss Provision o LLP).
- Per quanto ovvio, un contesto inflazionistico permanente, può causare un inasprimento delle condizioni finanziarie per le imprese, che potrebbe tradursi in forti costi per oneri finanziari soprattutto per alcuni mutuatari marginali dotati di forza contrattuale inferiore, influendo negativamente sia sulla qualità media del portafoglio crediti della banca (aumento delle posizioni ‘non performanti’ NPL e UTP o Unlikely To Pay), sia sul saggio di crescita dei prestiti.
- un prolungato periodo d’inflazione ben al di sopra dell’obiettivo a lungo termine della Fed (target 2%) potrebbe indurre alcuni istituti bancari a vendite su vasta scala di titoli obbligazionari a lungo termine a tasso fisso al fine di realizzare plusvalenze latenti dei propri attivi finanziari, che potrebbero avere implicazioni negative (sell-off) per i mercati finanziari.
- E ancora, in tema di credito immobiliare, ricordando che non sempre gli immobili assicurano un investimento a protezione integrale dall’effetto inflazione, le banche con concentrazioni significative del portafoglio crediti su real estate in singole classi di impieghi come i finanziamenti sugli immobili commerciali, avrebbero maggiori probabilità di subire un downgrade nel proprio merito di credito da parte delle agenzie di rating. Infine, tassi reali medi più elevati a causa d’inflazione, potrebbero rallentare l’adeguamento dei tassi di finanziamento sui progetti immobiliari commerciali, facendo pressioni sulle valutazioni immobiliari e sui conseguenti loan to value (rapporto tra importo del credito immobiliare e valore a stima peritale dell’immobile).
9 I crediti a tasso fisso e a tasso variabile
In Europa, la conversione su larga scala del portafoglio crediti dai prestiti a tasso variabile a quelli a tasso fisso registrata nell’ultimo decennio, soprattutto per la clientela retail, potrebbe ‘calmierare’ alcuni dei benefici a favore delle banche derivanti dall’aumento dei tassi di interesse. In tal senso, la conversione da tasso variabile a tasso fisso dei mutui ipotecari potrebbe comportare un rischio per le prospettive di redditività bancaria a medio termine nei casi in cui tali esposizioni ai tassi di interesse siano meno adeguatamente coperte mediante strumenti derivati di hedging del rischio tasso (si vedano i plain vanilla payer interest rate swap, in cui la banca in uno scenario di rialzo atteso generalizzato dei tassi copre il rischio tasso sulle poste attive a tasso fisso pagando a un dealer un tasso fisso e ricevendo un tasso variabile) talvolta meno utilizzati dalle banche di piccole dimensioni rispetto alle grandi banche.
10 Conclusioni: competizione e modelli di business
Sappiamo che i modelli di business delle banche più grandi banche si sono evoluti rapidamente nell’ultimo triennio, offrendo ora un’ampia gamma di servizi d’intermediazione e altri servizi accessori, al fine di attrarre raccolta diretta e fidelizzare i depositanti, piuttosto che competere tra loro per i depositi sulla base del mero tasso passivo più conveniente concesso al cliente depositante. In tale contesto, l’inflazione potrebbe spostare il focus competitivo dai tassi al pricing sulle commissioni bancarie tradizionali (tipicamente i costi accessori dei conti correnti) e delle fee sugli investimenti (commissioni d’ingresso, di gestione patrimoniale, di uscita).
In conclusione, la crescita del PIL nominale più forte, come ipotizzato in uno scenario d’alta inflazione, aumenterebbe probabilmente lo sviluppo del credito bancario per importi simili presso le istituzioni creditizie sia di piccole sia di grandi dimensioni. Tuttavia, il fenomeno più temuto sarà la probabile futura stagflazione, ovvero un prolungato periodo d’inflazione accompagnato a rallentamento e decrescita del PIL resta un indesiderato e temuto scenario. Vedremo.
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Riferimenti:
Prolonged, Elevated Inflation a Risk for U.S. Bank Credit, Earnings, Fitch Ratings, June 28, 2021
Inflation and rate hikes ahead: Bankers cautious on the economy, Reuters, April 14, 2022